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Bollettino Scientifico di Aggiornamento

n. XXIII - Ottobre 1995


LA NOSTRA ESPERIENZA NELL'UTILIZZO DEL CHIODO I.C. 
NOTE TECNICHE E CASISTICA*

G. Gaetani, G. Bacciocchi, P. Bonacina
Ospedale Generale di Zona Sacra Famiglia Fatebenefratelli - Erba
Divisione di Traumatologia ed Ortopedia Primario: Dr. G. Bacciocchi
*Relazione presentata al Congresso S.I.O.T., Firenze 7 novembre 1994

INTRODUZIONE

Nella prima edizione del Manuale dell'Osteosintesi nel 1976, il trattamento di scelta nelle fratture di gamba era l'osteosintesi con placca e viti, mentre l'inchiodamento endomidollare era consigliato per le sole fratture trasverse del terzo medio della diafisi.
Da allora l'utilizzo dei chiodi endomidollari come mezzo di sintesi delle fratture lafisarie ha assunto una crescente importanza; il bloccaggio del, chiodo per impedire la rotazione e la scomposizione dei monconi di frattura, ha fatto si che le indicazioni si siano allargate alle fratture pluriframmentarie diafisarie e più recentemente alle fratture esposte (1) (2) (3).
Gli studi condotti da Halfet (6) sull'anatomia e sulla circolazione endostale hanno dimostrato il danno arrecato alla circolazione endostale dall'alesaggio della cavità midollare, a fronte di una maggiore stabilità dell'ìmpianto alle sollecitazioni in torsione e di una riduzione delle forze di taglio a livello del focolaio di frattura. (4) (6) Attualmente il chiodo bloccato può avere come indicazione la sintesi alle fratture complesse e comminute diafisarie del gruppo B e C della classificazione A.O. ed il trattamento delle pseudoartrosi e delle deviazioni angolari degli arti inferiori.
Più recentemente l'esperienza di alcuni Autori (5) (6) ha dimostrato come l'utilizzo in caso di fratture esposte di chiodi di piccolo diametro infissi senza alesaggio, ottenga complessivamente dei risultati soddisfacenti, con una percentuale di infezioni e pseudoartrosi sovrapponibile a quelle ottenibili con metodiche piú complesse ( fissatori esterni - sintesi combinate ecc. ). (4) In particolare il Rispetto della circolazione endostale è ritenuto il fattore decisivo per la prevenzione delle infezioni nelle fratture esposte.

MATERIALI E METODI

L ' infibulo I.C. è stato disegnato in modo da poter essere utilizzato senza alesaggio e presenta alcune caratteristiche particolari nel disegno:
1) Una sezione di forma cilindrica, chiusa, con una triplice nervatura, allo scopo di irrigidire la struttura, conferendo una maggiore resistenza alla flessione ed alla torsione, previste per l'utilizzo del chiodo senza alesaggio midollare.
2) Il chiodo tibiale presenta una curvatura prossimale di 11° (curva di Herzog ) al terzo prossimale, che consente una più facile progressione del chiodo ed una migliore riduzione delle fratture diafisarie prossimali.
3) Un profilo a tronco di cono smusso a livello della punta, in modo da facilitare l'introduzione.
4) Distalmente sono presenti 3 fori per la stabilizzazione, due su di un piano frontale ed uno sul piano antero posteriore. il foro distale è posto a 15 mm dalla punta del chiodo. Quest'ultima caratteristica consente di estendere le possibilità di bloccaggio alle fratture del terzo distale diafisario e di evitare zone di cute danneggiata.
5) Sono presenti a livello prossimale un foro per il bloccaggio statico ed una fenestratura attraverso la quale è possibile la sintesi dinamica o in alternativa applicare una ulteriore vite in posizione statica.
Una compressione assiale è inoltre ottenibile tramite l'introduzione di un elemento cilindrico filettato.
Sono disponibili chiodi tibiali da 8 mm. a 10 mm. di diametro e da 26 a 39 cm. di lunghezza.

Il chiodo I.C. viene stabilizzato da viti di bloccaggio autofilettanti di 5,5 e 4,5 mm di diametro, disponibili parzialmente filettate per la stabílizzazione prossimale è totalmente filettate da utilizzarsi per i fori distali, come avviene per altri sistemi di bloccaggio.
Il set chirurgico comprende due punte di diametro 3,5 e 4,5 per i fori prossimali ed una punta da trapano appositamente sagomata (lanceolata) che facilita il puntamento del foro di bloccaggio distale.
Lo strumentario comprende un centratore prossimale, da assernblare direttamente sul chiodo, con due fori contrassegnati con le lettere S e D per il bloccaggio statico e dinamico. Un puntatore distale analogo ad altri modelli, corredato di un centrapunte, completa lo strumentario.

TECNICA CHIRURGICA

Come per l'inchiodamento tradizionale è di estrema importanza la preparazione del campo operatorio, l'utilizzo di un letto di trazione e di un amplificatore di brillanza in modo da garantire l'asepsi della procedura chirurgica e la riduzione preliminare della frattura in questo modo si riducono i tempi di intervento e si minimizzano i rischi da esposizione alle radiazioni del personale della sala operatoria.
E' opportuno uno studio preliminare della frattura ed una verifica del diametro e della lunghezza del chiodo da utilizzare, mediante l'esecuzione di una Rxgrafia della tibia controlaterale.
Il paziente viene posizionato supino, con l'arto sostenuto da un reggipoplite, il ginocchio flesso a 45°, con una staffa da trazione al calcagno.
Ridotta preliminarmente la frattura, allineato l'asse dialisario e controllata la rotazione (particolarmente nel caso di fratture comminute), si procede all'accesso chirurgico per via transtendinea.
Con l'apposito perforatore si esegue il foro di introduzione in posizione leggermente mediale rspetto alla tuberosità tibile ed il più prossimalmente possibile, rispettando la superficie articolare tibiale.
Si procede quindi come per l'inchiodamento tradizionale all'introduzione del filo guida, eseguendo un alesaggio limitato alla parte prossimale epifisaria, per facilìtare l'introduzione del chiodo senza forzature, ed evitare il pericolo di fratture longìtudinali. Introdotto il chiodo e verificata la riduzione si procede al bloccaggio distale.
Effettuato il bloccaggio distale se necessario, si riduce ulteriormente la frattura, rilasciando la trazione ed esercitando una compressione assiale sul manipolo fissato al chiodo.
Si procede quindi al bloccaggio prossimale.

CASISTICA

Dal 1992 ad oggi abbiamo utilizzato il sistema di infibuli endomidollari I. C. per il trattamento di fratture di gamba 16 volte; in 5 casi si è trattato di donne e in 11 casi di uomini di età compresa tra i 17 ed i 63 anni.
Nel medesimo periodo di tempo sono state trattate presso la Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell'Ospedale di Erba complessivamente 43 fratture di gamba (5 con infibulo non bloccato, 15 con placca e viti, 3 con fissatore esterno, 4 con riduzione incruenta ed apparecchio gessato).
Le fratture comprese in questa casistica appartengono ai gruppi B e C secondo la classificazione AO delle fratture diafisarie di gamba.
Tutti i casi sono stati ricontrollati a distanza ( follow up minimo di 3 mesi massimo di 18 mesi).
In 5 casi si trattava di fratture con lesioni cutanee chiuse ( tipo IC2 IC3 ) ed in due casi fratture esposte di grado I01.
In tutti i casi è stata praticata riduzione e sintesi a cielo chiuso. In tutti i casi è stato introdotto senza preventivo alesaggio del canale midollare, con la sola preparazione del foro d'ingresso per evitare forzature durante l'introduzìone del chiodo.
In tutti i casi tranne 2 è stato praticato il bloccaggio distale e prossimale ed in 3 fratture è stata effettuata una sintesi in compressione, per fratture che presentavano un contatto ed appoggio trasversale superiore al 30% della superficie della frattura.
Tutti i casi trattati sono stati riicontrollati radiologicamente a distanza di 2, 4 e 6 mesi dalla frattura, tranne 2 ancora in trattamento.
I tempi medi di consolidazione sono stati nella media ( 2 - 4 mesi ) per le fratture del gruppo A e B, tranne in due casi in cui la consolidazione è avvenuta a distanza di 6 mesi.
Il carico completo è stato concesso in media a 1 mese dall'intervento, con un minimo di 15 giorni ed un massimo di 2 mesi.
Per quanto attiene alle complicanze dobbiamo riferire un caso in cui abbiamo riscontrato una flessione della parte prossimale del chiodo, all'altezza della fessura longitudinale, in un caso una rottura ed in un altro caso una deformazione della vite dì bioccaggio prossimale ( caso in trattamento).
In due casi abbiamo riscontrato un ritardo di consolidazione ed in un caso una deviazione assiale in valgo del moncone distale di frattura di 4°.
Queste complicanze sono a nostro avviso da addebitarsi alla iniziale inesperienza nell'applicazione della metodica di bloccaggio.
In un caso si è avuta una infezione profonda da stafilococco aureo, trattata con antibíoticoterapia generale, in cui la precoce rimozione del chiodo ha consentito la guarigione completa dell'infezione.
In un caso abbiamo avuto una tromboflebite profonda, con microembolia polmonare.

DISCUSSIONE

Dall'íntroduzione delle metodiche di bloccaggio dei chiodi endomidollari si sono osservate complicanze riferibili a cedimenti delle viti o rotture del mezzo di sintesi.
Grosse e Kempf (1) (1986) riportano un tasso di complicanze del 6% nel trattamento di fratture pluriframmentarie e complesse di gamba ( classificazione A.O. gruppo B e C ).
Russel e Taylor (5) (1992) riferiscono, su 50 casi di fratture esposte di tibia trattate con l'nfibulo senza alesaggio, il 10% di complicanze determirate dalla rottura delle viti ed il 6% di rotture del chiodo in fratture non consolidate.
Hart e altri (4) (1993) non riportano complicanze su 60 casi trattati con chiodi bloccati riferibili a cedimenti strutturali degli stessi, ma una percentuale di pseudoartrosi superiore alle casistiche delle endomidollari con alesaggio preventivo del canale.

CONCLUSIONI

In sintesi i vantaggi di questo chiodo possono essere così riassunti:
1) strumentario unificato per lefnore e tibia con i relativi vantaggi di utilizzo, econoriticità e stoccaggio.
2) buona rigidità e resistenza torsionale del chiodo
3) possibilità di ottenere una osteosintesi in compressione "dosata" immediata.

Tra gli inconvenienti annoveriamo, a nostro avviso:

A) Il chiodo è vulnerabile a livello della fenestratura prossimale.
B ) Nella nostra casistica abbiamo constatato una flessione della vite di bloccaggio prossimale in una sintesi in compressione, determinata dalla vite troppo corta, ed una rottura da fatica di una vite distale.
C) La possibilita' di deviazioni assiali in varo/ valgo in caso dì fratture del terzo distale, in cui il controllo della riduzione è difficoltoso, problematica peraltro comune alla metodica di sintesi endomidollare.

Le indicazioni all'utilizzo di un chiodo non alesato come mezzo di sintesi sono a nostro parere limitate, dariservarsi a fratture diafisarie di tipo B e C della Classificazione A.O., in caso di esposizione di 1°- 2° grado ( ove sia possibile è indicato il trattamento entro le prime 6 ore dal trauma, altrimenti differito di alcuni giorni) e in fratture ove non sia possibìle o raccomandabile un alesaggio.
Da ultimo una considerazione sulla sintesi in compressione.
Dalla nostra casistica , peraltro ridotta, non emergono dati che ne consentano una valutazione obiettiva, in particolare non si è registrata una significativa riduzione dei tempi di guarigione.
In sintesi ci sembra importante ribadire che i requisiti necessari alla guarigione di una frattura, sia essa sintetizzata in compressione, con un montaggio statico o dinamico, è la stabilità, intesa come abolizione di tutte le forze che agiscono negativamente sui processi locali di riparazione delle fratture.

BIBLIOGRAFIA

1) Grosse A.: Manuale di osteosintesi delle fratture diafisarie del femore e della tibia. Ed. Howmedica, Bruxelles, 1981

2) Kuntscher G. : The Kuntscher metod of intramedullary fixation. Journal of Bone and Joint Surgery, 40-A, 17-26, 1958

3) Plaquet J.L.: "Le clou hexagone. Analyse des premieres 200 enclouages réalisès." 1989, Thèse, C.H.U. Amiens.

4) Harth A.,Moerman J. et Alii. : "Treatment of TibiaI shaft fractures by interlocking nailing." Acta Orthop.Belgica 59-4, 381-389, 1993

5) Paige Wittle A.,Russel - T.A., Taylor J.T. : "Treatement of open fractures of the tibial shaft with the use of interlocking nailing without reaming. Journal of Bone and Joint Surgery 74-A, 1162-1171, 1992.

6) Muller M. E., Allgower, Schneider R., Willenegger H. "Manuale dell'Osteosintesi. Tecniche raccomandate dal gruppo AO" Terza edizione, Ed. Springer Verlag 1993.


Prefazione Bollettino 1995 
a cura del Prof. Romano Marsano 
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