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Bollettino Scientifico di Aggiornamento

n. XXIII - Ottobre 1995


TRAUMI MINORI DEGLI ARTI: COMPLICANZE VASCOLARI

G. Di Luca*, S. Losa*, G. Sironi*, A. Corradi**
*Istituto Ortopedico Gaetano Pini - Sezione di Chirurgia Vascolare Primario: Dr. G. Sironi
**Università degli Studi di Milano, I Clinica Ortopedica
Negli ultimi anni, i traumi vascolari nella vita civile hanno subito un notevole incremento, a causa dell'aumento della criminalità, dell'infortunistica stradale, della diffusione di strumenti meccanici semiautomatici ed elettrici nell'ambiente di lavoro e domestico.
In ambito civile le localizzazioni traumatiche cosiddette "minori" (senza immediato pregiudizio per le funzioni vitali), raggiungono il 30% dei casi (Rutheford), coinvolgendo in modo predominante gli arti. In tale ambito risulta predominante l'associazione di traumi ortopedici con lesioni vascolari, (sino al 6,5% in pazienti affetti da lussazioni del ginocchio, fratture della gamba o dell'avambraccio, secondo Bishara).
Il danno vascolare associato a quello osseo dipende dall'ampiezza delle forze in gioco nel trauma stesso, con rischio di amputazione nel 26-33% in pazienti con dislocazione dei capi ossei di frattura. Questi dati si riferiscono ai traumi con danno associato del circolo arterioso: l'eventuale presenza di lesioni del distretto venoso non sembra modificare, in modo significativo, l'incidenza d'amputazione.
I maggiori progressi condotti in ambito terapeutico e diagnostico in traumatologia vascolare si devono ai lavori ed agli studi condotti da N.M. Rich durante le guerre di Corea e Vietnam (1).
La standardizzazione degli "staging" diagnostico-terapeutici tutt'ora in uso hanno determinato la riduzione dell'incidenza di complicanze nei traumi vascolari (dal 50% di amputazioni di arto del II Conflitto Mondiale, si è passati al 13% della guerra di Vietnam, all'1,5% della patologia traumatica civile).
Quasi il 70% dei casi d'ischemia acuta degli arti è di natura embolica, mentre il 19% è secondaria alla trombosi su malattia aterosclerotica e solo il 10% dei casi riconosce un meccanismo traumatico.

EZIOPATOGENESI

In ambito ortopedico le lesioni traumatiche più frequenti sono di tipo non penetrante. Può determinarsi allora, a carico del fascio vascolare, ed in particolare dell'arteria, una lesione "chiusa", senza perdita di sostanza della parete vasale.
Le lesioni "chiuse" possono essere classificate come segue:

  1. Spasmo: diffuso; segmentario.
  2. Contusione: I grado; II grado; III grado (in rapporto al coinvolgimento della sola intima, dell'intima e della media di tutte e tre le tuniche).
  3. Compressione.
L'ischemia dei tessuti a valle della sede di lesione può variare in rapporto al danno vascolare, alla localizzazione ed alla presenza di circoli di compenso.
Un trauma lesivo dell'asse arterioso (diretto od indiretto) raramente provoca una transezione completa della parete vasale. Solitamente sono in causa meccanismi di trazione con applicazione di forze lungo vettori tangenziali e/o longitudinali che sfociano il più delle volte in lesioni parziali della superficie intimale od avventiziale od ancora della tonaca media. Il risultato finale è la dissezione intimale con la possibile formazione di "flap" parzialmente o totalmente occludenti mentre, nei casi identificati tardivamente, si verifica la formazione di pseudoaneurismi. La lesione traumatica degli assi arteriosi, rappresenta spesso un evento più drammaticamente rilevante, rispetto alla patologia embolica e/o trombotica, a parità di sede, per la contemporanea presenza delle lesioni nervose, ossee e delle parti "molli".
La maggior parte di queste lesioni ossee, che possono sembrare, ad una prima osservazione sostanzialmente innocue nei confronti della perdita della continuità vasale, sono in seguito potenzialmente capaci di produrre una riduzione globale della capacità funzionale dell'arto, conseguente alla lesione delle formazioni nervose, anche in presenza di un'adeguata ricostruzione arteriosa. Le lesioni complete degli assi principali arteriosi sono di solito facilmente riconoscibili per l'importante emorragia.
Le lesioni parziali degli stessi vasi o dei loro collaterali possono invece presentare qualche difficoltà diagnostica. A questo proposito può essere utile ricercare la presenza di uno o più segni che, variamente associati, possono sopportare la diagnosi di danno arterioso (2):
1) polso arterioso periferico ridotto od assente;
2) storia di un persistente sanguinamento arterioso;
3) ematoma pulsante;
4) emorragia di grado elevato con ipotensione e shock;
5) presenza di un soffio o un "thrill" in sede di lesione o distalmente ad esso;
6) lesione di nervi e strutture nervose in continuità con gli assi vascolari;
7) ischemia distrettuale;
8) ipotermia.

Non sempre queste schematizzazioni semplificano il processo diagnostico differenziale. Spesso i quadri clinici sono sfumati e variabili anche a breve termine; soprattutto, la frequente presenza di queste lesioni in pazienti politraumatizzati, od in pazienti in stato di shock ipovolemico, non permettono sempre uno studio accurato ed analitico dei segni prima elencati. Anche il rilievo delle pressioni di occlusione a livello distale (rispetto all'arteria lesa) non sempre è possibile per la frequente consistenza di un secondo focolaio distale di frattura. In questi casi "complessi" il dubbio diagnostico può e deve essere risolto attraverso l'utilizzo dell'angiografia. In situazioni d'urgenza essa può essere effettuata in sala operatoria e deve evidenziare tutto l'asse arterioso dell'arto, per la non rara presenza di lesioni multiple, (art. femorale, poplitea, tibiali) e per scoprire eventuali embolizzazioni distali a livello plantare.
A volte l'ischemia tardiva (anche di alcuni giorni), può essere secondaria al distacco di una placca o di un "flap" endoluminale provocato dall'evento traumatico ed alla successiva trombosi.
Altre volte ancora, l'assenza di emorragia o di segni ischemici immediati può far misconoscere una lesione vascolare sub-acuta, che si renderà evidente anche a mesi di distanza dall'evento traumatico principale, con la formazione di uno pseudoaneurisma o di una fistola artero-venosa (fav) (3,4,5).
In sintesi, la localizzazione, il coinvolgimento di strutture nervose e la presenza o meno di emorragie in atto, determina scelte diagnostiche e terapeutiche diverse.

Presentiamo tre casi esemplificativi dell'approccio diagnostico corrente e dei possibili trattamenti chirurgici attuabili in pazienti affetti da lesioni traumatiche complesse (osteomuscolo-vascolo-nervose), valtando ai risultati a distanza.

I CASO CLINICO

Paziente di 44 anni, sesso maschile, colpito da un proietto di pistola al ginocchio sinistro ed all'addome durante un conflitto a fuoco.
Veniva sottoposto d'urgenza ad intervento di resezione di circa 30 cm. d'intestino tenue. La lesione osteo-articolare veniva giudicata di secondaria importanza e pertanto (dopo una fissazione temporanea dei segmenti ossei mobili con fili di Kirshner) si attendeva un miglioramento delle condizioni generali del paziente per sottoporlo al trattamento ortopedico più conveniente.
Giungeva così nel nostro Istituto per essere sottoposto all'adeguato trattamento specialistico.
All'ingresso si rilevava la frattura piuriframmentaria del condilo femorale mediale e del plateau tibiale dell'arto inferiore sinistro, l'assenza dei polsi arteriosi tibiali, pur in presenza di normotermia cutanea e, l'edema diffuso della gamba (anamnesi patologica negativa per malattia di tipo cardiocircolatorio od aterosclerotica distrettuale).
L'esame radiografico del ginocchio e della gamba sinistra evidenziava: "frattura pluriframmentaria intra-articolare metaepifisaria prossimale della tibia e del perone; infossamento secondario della superficie articolare; frattura con distacco osseo del condilo femorale interno".
L'esame dopplervelocimetrico deponeva per flusso di tipo post-stenotico a livello di entarmbi i vasi tibiali a sinistra.
L'angiografia digitale eseguita per via venosa evidenziava la "presenza di una grossolana sacca pseudoaneurismatica in corrispondenza del terzo inferiore dell'arteria poplitea. Detta sacca aprendosi nell'asse venoso profondo determinava una fistola artero-venosa di elevata portata".
L'esame non evidenziava le diramazioni arteriose tibiali pur visualizzando un circolo sottostante alla lesione, verosimilmente sostenuto dalla presenza di rami muscolari arteriosi (fig.1).
La visita neurologica evidenziava la sofferenza dello sciatico popliteo esterno (SPE) e la compartecipazione del distretto innervato dallo sciatico popliteo interno (SPI).
Si sottoponeva pertanto il paziente a correzione chirurgica del danno vascolare e di quello osteo-articolare durante la stessa seduta operatoria. Veniva eseguito in un primo tempo un intervento di "Ricostruzione diretta dell'arteria poplitea sinistra (innesto in poli-tetra-fluoruro espanso - PTFE n°6 )" al fine di correggere la FAV, legando la vena poplitea, totalmente lacerata sino a valle della confluenza delle vene tibiali.
Di seguito veniva eseguito l'intervento di "Riduzione cruenta ed osteosintesi della frattura comminuta del plateau tibiale e del condilo mediale (fig.2).
Il decorso post-operatorio era caratterizzato dalla ricomparasa dei polsi tibiali e da un edema localizzato alla gamba (risoltosi gradualmente nell'arco di alcuni giorni).
Al controllo neurologico: "stenia di grado 0 della muscolatura flesso-estensoria del piede e delle dita, abduzione ed adduzione del piede; areflessia dell'achilleo, ipoestesia plantare e della parte esterna della gamba.
Il paziente veniva sottoposto in trattamento con eparina sodica alle dosi di 20.000 U.I. in infusione continua.
In IX giornata il paziente veniva mobilizzato e si modificava la terapia anticoagulante passando a somministrazioni biquotidiane di eparina calcica (1 2.500 U. I. x 2/die s.c.).
Dopo un mese dal primo intervento il paziente veniva sottoposto ad un intervento di ricostruzione del condilo femorale mediale mediante trapianto osseo omoplastico di banca.
Il referto radiografico di controllo del ginocchio evidenziava: "postumi di frattura pluriframmentaria interessante la regione metaepifisaria prossimale della tibia, del femore e del condilo femorale mediale, sintetizzata mediante mezzi metallici con accettabile affrontamento dei frammenti. Notevole riduzione dell'ampiezza in sede mediale".
Il quadro neurologico risultava immodificato rispetto al precedente controllo. L'esame elettromiografico (EMG) confermava il dato clinico dimostrando l'ineccitabilità dello SPE e deli SPI a sinistra.
Il paziente veniva dimesso in terapia antiaggregante con tutti i polsi arteriosi presenti.

II CASO CLINICO

Paziente di 42 anni, sesso maschile.
Durante l'escuzione della manutenzione di una pressa per tessuti, l'arto superiore sinistro veniva agganciato da alcuni ingranaggi e schiacciato dal volano della pressa stessa.
All'ingresso nel nostro Istituto si refertava la frattura scomposta e pluriframmentaria della diafisi omerale, la paralisi sensitiva e motoria dell'arto superiore sinistro e l'assenza dei polsi arteriosi radiale ed ulnare.
L'esame dopplervelocimetrico evidenziava l'obliterazione dell'arteria omerale al suo terzo medio, la pervietà dell'asse radiale e la presenza di lesioni dell'arteria ulnare.
L'angiografia digitalizzata eseguita per via venosa (fig.3) confermava il dato ultrasonografico, puntualizzando l'estensione della lesione e l'assenza di validi circoli collaterali vicarianti. Si decideva pertanto di sottoporre il paziente a correzione chirurgica del danno vasale omerale mediante innesto in vena grande safena invertita autologa, preceduta dalla stabilizzazione ossea mediante l'uso di un fissatore esterno.
Al termine si rilevava la pulsazione dell'arteria radiale al polso, con ottimo compenso di circolo anche a livello palmare e digitale (pertanto non si procedeva alla ricostruzione dell'arteria uinare, lesa in più punti).
Il paziente venive sottoposto a terapia anticoagulante nel post-operatorio.
Lo specialista neurochirurgo posticipava a sei mesi la data di un suo eventuale intervento, verificando l'assenza di soluzioni di continuo nelle radici del plesso brachiale e la presunta presenza di uno "stupor" post-traumatico.

III CASO CLINICO

Paziente di 21 anni, di sesso maschile, coinvolto in un trauma stradale.
All'ingresso nel nostro Istituto si rilevava la presenza di una frattura biossea scomposta di gamba a sinistra, l'assenza del polso pedidio e la presenza di un valido polso tibiale posteriore.
L'esame dopplervelocimetrico evidenziava l'obliterazione dell'arteria tibiale anteriore in prossimità del focolaio di frattura e la presenza di un segnale (di ridotta ampiezza) demodulato a carico dell'arteria pedidia.
L'angiografia digitalizzata eseguita per via venosa evidenziava la presenza di una interruzione netta dell'arteria tibiale anteriore, a livello del focolaio di frattura, la pervità dell'asse tibiale posteriore e peroniero e di un piccolo ramo arterioso a decorso parallelo a quello tibiale anteriore, originantesi in prossimità dell'origine della stessa ed inosculantesi a livello pedidio.
Il paziente veniva trattato dapprima con trazione trans-scheletrica per ridurre la frattura e presentando dopo 24 ore dal trauma una sindrome compartimentale, veniva sottoposto ad una fasciotomia.
Nella stessa seduta operatoria, si procedeva alla stabilizzazione ossea mediante fissatore esterno tipo "Ex Fire".
Il paziente veniva sottoposto a terapia profilattica anticoaguiante.
Nel decorso post-operatorio, si rilevava la rapida remissione dell'edema della gamba e dell'iniziale "stupor" dello SPE.
In IV giornata si registrava la ricomparsa del polso tibiale anteriore (da riabitazione).

CONCLUSIONI

I tre casi descritti sottolineano, ancora una volta, la complessità gnoseologica dei traumi vascolari "minori", specie se associati a lesioni dell'apparato scheletrico.
La prognosi "quoad vitam" non è quasi mai posta in discussione, ma il pericolo di perdita dell'arto (6) sottolinea l'importanza di una diagnosi tempestiva e di un corretto trattamento, che non necessariamente deve essere sempre chirurgico.
Se all'esplorazione angiografica prima e a quella chirurgica poi, si riconosce il coinvolgimento anche dell'asse venoso di quel distretto corporeo, il chirurgo deve programmare la ricostruzione della via di deflusso, preventivamente, al fine di migliorare ogni possibilità dell'intervento di rivascolarizzazione arteriosa.

Il trattamento delle lesioni nervose (plessiche) è sostanzialmente di tipo conservativo basandosi su i due presupposti cardine della terapia riabilitativa:

1) preservazione della mobilità, impedendo l'instaurarsi della rigidità articolare (fisiochinesiterapia);
2) controllo dell'atrofia muscolare post-denervazione (massoterapia, elettroterapia miotrofica).

Secondo alcuni Autori (7,8) il trattamento della lesione nervosa, se necessario, deve essere contemporaneo a quello della lesione vascolare, a condizione che non si aggravi la prognosi quoad vitam del paziente; un intervento differito sulle strutture nervose potrebbe essere reso maggiormente difficile dalla retrazione dei monconi della radice nervosa e dalla presenza dell'eventuale innesto vascolare stesso.
Il trattamento conservativo, utilizzando sostanze fibrinolitiche a somministrazione locoregionale, trova la sua unica indicazione nei casi in cui l'estrema perifericità della lesione occludente presenta una prognosi sfavorevole all'esecuzione di una qualsiasi manovra chirurgica.
Solitamente si preferisce l'innesto con vena grande safena autologa rispetto all'uso dei materiali protesici sintetici.
La sola alternativa possibile, accettata da tutti, è rappresentata dal PTFE, per la sua biocompatibilità e la buona pervietà a distanza.

RIASSUNTO

L'importanza epidemiologica dei traumi vascolari minori è nota. Il pronto riconoscimento diagnostico ed il corretto approccio terapeutico riducono la percentuale d'amputazione degli arti con traumi complessi (osteo-muscolo-vascolo-nervosi). Gli Autori presentano tre casi esemplificativi delle metodiche diagnostiche (invasive e non invasive ), e del trattamento chirurgico: innesto eteropiastico (Gore-Tex), innesto autologo (vena gr. safena), trattamento di correzione ortopedica.

SUMMARY

The epidemiological rilevance of minor vascular trauma is well known. The diagnostic acknowiedgement and the accurate surgical approach reduce the limbs amputation of complex trauma (osseus-muscular-vascular-neural). The Authors introduce trhee esemplificative cases of actual diagnostic method (invasive and non invasive) and right surgical treatment: heteropiastic graft (Gore-Tex), autologus graft (great saphenous vein), esclusive orthopedic treatment.

BIBLIOGRAFIA

1. Rich N.M.: Vascular trauma in Vietnam. J. Cardiovasc. Surg., 11, 368, 1970.

2. Neer C. S.: Dispiaced proximai humerai fractures. I I. Treatment of three part and fourpart dispiacement. J. Bone Joint Surg. 52A, 1090, 1970.

3. Agrifoglio G., Sironi G.: Le lesioni arteriose periferiche acute in traumatologia. Min. Angio. 1, 45-50, June 1976.

4. Bonadeo P., Domanin M., Sironi G. e Agus G.B.: Fistole artero-venose post-traumatich dell'arto inferiore. IVI Congresso Nazionale A.N.C.A.P., 421-425, Pavia, 1987.

5. Hewitt R.: "Vascular injuries" in Haimovici H.: Vascular Emergencies. 251-256, New York, Appleton-Century-Crofts, 1982.

6. Abhernathy C., Dickinson T.C., Hamilton L.: Management of popiiteal artery injuries. Surg. Clin. North. Am, 59, 507,1979. 7. Perry MO. The Management of Acute Vascular lnjuries. Baltimore: William and Wilkins. 1981.

8. Rosa J. P., Gontaine D., Evrard C., et al.: Paraiysie plexique traumatique associée à une rupture de l'artère sous-clavière. Réfiexion à propos de 2 nouveax cas dans les traumatismes fermés de l'épaule. Ann. Chir., 34, 277, 1980.


Prefazione Bollettino 1995 
a cura del Prof. Romano Marsano 
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