Un medico che scrisse di medici.
Noto universalmente per aver creato il grande Sherlock Holmes,
il dottor Doyle si cimento' con un vasto repertorio letterario. Questo
è solo un piccolo saggio.. della sua poliedricità.
RIFLESSIONI DI UN CHIRURGO
di Sir Arthur Conan Doyle
tratto da “L'’uomo di Arcangelo ...ed altre storie inedite”,
Leonardo Editore, Milano
ISBN 88-355-0062-1 Tutti
i diritti sono riservati ai loro legali possessori
Gli uomini muoiono delle malattie di cui più si sono
interessati - osservò il chirurgo, tagliando l'estremità
del sigaro con la sapiente precisione tipica della sua arte - è
come se la condizione morbosa fosse una creatura malvagia che,
sentendosi qualcuno alle calcagna, gli saltasse alla gola. Se
disturbate troppo i microbi, essi disturberanno voi. Ho avuto modo di
constatare l'esattezza di questa tesi, e non solo nelle malattie
provocate da microbi. C'è naturalmente il noto caso di Liston e
dell'aneurisma, e potrei menzionarne un'altra dozzina. Ma nessuna
dimostrazione è più chiara di quella dataci dal buon
vecchio Walker di St Christopher's. Non ne avete mai sentito parlare?
Be', l'evento ovviamente accadde un po' prima della vostra epoca, ma mi
stupisce che sia stato dimenticato. Voi giovani vi preoccupate talmente
di tenervi aggiornati, che perdete di vista gran parte dei casi
interessanti del passato.
Walker era uno dei migliori specialisti europei in malattie
nervose. Avrete letto il suo libriccino sulla sclerosi della colonna
posteriore. E' avvincente come un romanzo e a suo modo fece epoca.
Lavorava come un negro, Walker: un ambulatorio affollatissimo, varie
ore al giorno nei reparti clinici, studi e ricerche incessanti. E poi
non tralasciava di divertirsi. De mortuis, naturalmente, ma
per tutti quelli che lo conobbero i suoi sollazzi erano il segreto di
Pulcinella. Morì a quarantacinque anni, ma era come se ne avesse
vissuti ottanta. Semmai c'è da stupirsi che abbia potuto
resistere per tanto tempo a quel ritmo frenetico. Quando però
giunse il momento cruciale, prese la cosa con filosofia.
A quell'epoca ero suo assistente clinico. Un giorno Walker stava
facendo lezione a una platea di giovincelli e spiegando che uno dei
primi sintomi dell'atassia locomotoria era l'incapacità di
restare in piedi a occhi chiusi senza barcollare. Mentre parlava
illustrò il concetto con l'esempio. Credo che i ragazzi non
notassero nulla, ma io me ne accorsi e lui anche, benché
terminasse il discorso senza battere ciglio.
Appena la lezione fu finita entrò nella mia stanza e si accese
una sigaretta.
«Mi controlli i riflessi, Smith» disse.
Non ne aveva praticamente più. Battei il martelletto sul tendine
del ginocchio, e fu come cercare di provocare riflessi nei cuscini di
un sofà. Walker si rialzò, chiuse di nuovo gli occhi e
ondeggiò come un cespuglio al vento.
«Cosi, dopotutto non era nevralgia intercostale» disse.
Allora capii che aveva accusato dolori acutissimi e che il quadro
morboso era completo. Non c'era niente da dire, perciò mi
sedetti guardandolo aspirare ripetutamente la sigaretta. Davanti a me
avevo una persona nel fiore degli anni, uno degli uomini più
belli di Londra, ricco, famoso, adorato in società, con il mondo
ai suoi piedi, al quale adesso, senza alcun preavviso, veniva
annunciata una sentenza di morte. Una morte accompagnata da torture
più prolungate e atroci di quelle che avrebbe potuto subire se
fosse stato legato al palo dai pellirosse. Seduto in mezzo al fumo
azzurrastro della sigaretta, teneva gli occhi bassi e le labbra
leggermente serrate. Poi si alzò e si batté le mani sulle
cosce, come chi voglia cancellare certi vecchi pensieri e imboccare un
nuovo corso.
«Sarà meglio che sistemi le mie faccende» disse.
«Devo dare alcune disposizioni. Le spiace se uso la sua carta e
le sue buste? »
Si mise alla mia scrivania e scrisse mezza dozzina di lettere. Non
credo di tradire la sua fiducia rivelando che non erano indirizzate ai
colleghi. Walker era scapolo, in altre parole non era legato a un'unica
donna. Quando ebbe finito usci dalla mia piccola stanza, lasciandosi
alle spalle tutte le sue speranze e le sue ambizioni. E avrebbe potuto
godere di un altro anno di inconsapevolezza se non avesse deciso di
illustrare con un esempio la propria lezione.
La malattia impiegò cinque anni a ucciderlo ed egli la
combatté con grande coraggio. Se per caso commise qualche
peccato, lo espiò durante quel lungo martirio. Con costanza
ammirevole tenne un diario dei sintomi e studiò la metamorfosi
subita dagli occhi con più cura di quanta ne fosse mai stata
usata prima di allora. Quando la ptosi si acui notevolmente, si
sorreggeva la palpebrà con una mano mentre scriveva. Poi, quando
non riusci più a coordinare i muscoli, dettò
all'infermiera. Cosi James Walker mori, in odore di scienza,
all'età di quarantacinque anni.
Il buon vecchio James amava molto la chirurgia sperimentale e fu un
pioniere in diversi settori. Detto fra noi, ci saranno anche state
altre importanti innovazioni in seguito, ma lui ce la metteva tutta per
guarire i propri pazienti. Conoscete M'Namara, vero? Porta sempre i
capelli lunghi. Afferma di farlo perché ha un temperamento
artistico, ma in realtà vuol nascondere un orecchio mancante. Fu
Walker a tagliarglielo, ma vi prego, non dite a M'Namara che vi ho
rivelato il segreto.
Successe così.
Walker aveva idee tutte sue sulla portio dura, che innerva i
muscoli della faccia, e pensava che a provocare la paralisi da cui a
volte è colpita fosse un'irregolarità nell'afflusso del
sangue. Riteneva quindi che compensando questa irregolarità si
potessero rimettere le cose a posto. In ospedale avevamo un caso assai
ostinato di paralisi di Bell e si era tentato di curarlo con ogni
possibile terapia: vescicanti, tonici, stimolanti nervosi, galvanismo,
aghi. Tutto senza risultato. Walker si mise in testa che rimuovendo
l'orecchio l'afflusso di sangue alla parte sarebbe aumentato e ben
presto ottenne il consenso del paziente all'operazione.
Bene, la eseguimmo di notte. Walker naturalmente era conscio della
natura sperimentale dell'intervento e voleva che se ne parlasse solo
dopo, in caso di successo. Eravamo cinque o sei, tra cui M'Namara e io.
Al centro della piccola stanza c'era uno stretto tavolo operatorio con
il guanciale protetto dall'incerata e una coperta che scendeva, su
entrambi i lati, fin quasi al pavimento. Sul tavolino a muro accanto al
guanciale erano posate due candele che fornivano l'unica luce
disponibile. Il paziente entrò con metà faccia liscia
come quella di un bambino e l'altra scossa da tremiti di paura. Dopo
che si fu sdraiato gli fu messa sul viso una salvietta impregnata di
cloroformio, mentre Walker infilava gli aghi a lume di candela. A capo
del tavolo c'era l'anestesista, Walker invece stava di fianco per
controllare il paziente. Gli altri e io ci tenevamo pronti a
intervenire in caso di bisogno. Dunque, quando era mezzo addormentato,
l'uomo da operare fu colto da una di quelle crisi convulsive che
capitano a volte nella fase di semincoscienza. Comincio' a calciare, a
dibattersi e ad agitare le braccia. Il tavolino che reggeva le candele
si rovescio' con uno schianto e in un attimo fu buio pesto. Potete
immaginare il trambusto e la confusione che seguirono: chi tirava su il
tavolino, chi cercava i fiammiferi, chi tentava di bloccare il
paziente, che continuava a muoversi come un matto. Alla fine due
assistenti di sala lo tennero fermo, qualcuno gli applico' la salvietta
col cloroformio e appena le candele furono riaccese, l'uomo non
emetteva piu' grida sorde e inarticolate, ma russava sonoramente. Aveva
la testa girata da un lato e la salvietta ancora premuta sul viso
quando venne eseguito l'intervento. Poi il panno fu sollevato, e noi
rimanemmo di stucco vedendo la faccia di M'Namara.
Com'era successo? Be', è presto detto.
Quando le candele si erano spente, l'anestesista si era voltato
un attimo e aveva cercato di raccoglierle. Al buio l'uomo da operare
era rotolato in terra, sotto il tavolo. Il povero M'Namara, che gli si
era aggrappato per prenderlo, era stato trascinato sul tavolo al posto
suo e l'anestesista, scambiandolo per il paziente, gli aveva subito
applicato alla bocca e al naso l'asciugamano impregnato. Gli altri lo
avevano tenuto fermo e più lui gridava e scalciava, più
lo avevano inzuppato di cloroformio. Walker fu assai diplomatico e gli
porse le sue più sentite scuse. Si offri’ di fargli subito una
plastica e ricostruirgli meglio che poteva l'orecchio, ma Mac ne aveva
avuto abbastanza. Quanto al paziente, lo trovammo che dormiva
tranquillamente sotto il tavolo, nascosto alla vista dai lembi della
coperta. Il giorno dopo Walker mandò a M'Namara un barattolo di
alcol denaturato contenente il suo orecchio, ma la moglie di Mac era
furibonda e l'incidente fu fonte di lungo rancore.
Secondo qualcuno, più a fondo si conosce la natura umana,
più si ha a che fare con essa, più la si disprezza. Non
credo che le persone davvero avvertite siano di questa opinione. La mia
esperienza mi induce a criticare con decisione una simile teoria. Sono
stato educato secondo il principio teologico del
"miserabile-mortale-fatto-di-argilla" ed eccomi qui, dopo trent'anni di
intima frequentazione dell'umanità, ad affermare il mio sommo
rispetto per essa. In genere il male si trova in superficie. Gli strati
più profondi sono buoni. Ho visto innumerevoli individui
condannati, come il povero Walker, da una malattia mortale apparsa
all'improvviso o da cecità e mutilazioni, che sono peggiori
della morte. Quasi tutti, maschi e femmine, hanno affrontato il destino
con serenità e a volte con incredibile altruismo, pensando
esclusivamente ai possibili effetti della loro disgrazia sulle persone
care; uomini di mondo e donne assorbite dai capricci della moda si sono
così trasformati davanti ai miei occhi in veri e propri santi.
Ho anche assistito moribondi di tutte le età, di tutti i credi e
di tutti gli agnosticismi. Non ho mai visto nessuno lasciarsi
sopraffare dalla paura, salvo un povero giovane con la testa piena di
chimere, che aveva passato la propria irreprensibile vita in seno alla
piu' severa delle sette religiose. Naturalmente un organismo esausto
è incapace di paura, come puo' testimoniare chiunque venga a
sapere, mentre ha un attacco di mal di mare, che la nave sta
affondando. Per questo ritengo che il coraggio con cui si affronta una
mutilazione o una sentenza di morte futura sia piu' grande di quello
che mostriamo quando una malattia letale ci ha gia' ridotto al
lumicino.
Voglio citare, in proposito, un caso che mi si è
presentato lo scorso mercoledi.
Venne a consultarmi una signora, moglie di un noto baronetto
appassionato di sport. Il marito l'aveva accompagnata, ma, dietro
richiesta di lei, rimase in sala d'aspetto. Non occorre che entri in
dettagli: vidi subito che si trattava di un terribile tumore maligno.
«Lo sapevo» commentò lei. «Dirò a mio
marito che non c'è alcun pericolo.»
«Perché vuole ingannarlo?» chiesi.
«Be', è molto preoccupato e adesso è li che trema
in sala d'aspetto. Stasera ha due vecchi amici a cena e non vorrei
proprio rovinargli la serata. Domani avrà tutto il tempo di
apprendere la verità.»
Poi quella piccola donna coraggiosa usci e un attimo dopo suo marito,
con il faccione rosso che brillava di gioia, si precipitò in
ambulatorio per stringermi la mano. Rispettai il desiderio della
signora e non lo disillusi. Sono sicuro che quella sera fu una delle
più piacevoli della sua vita, e la mattina dopo la più
cupa di tutte.
E'’ straordinario vedere con quanta forza e serenità le donne
possano sopportare una terribile mazzata. Con gli uomini il discorso
è diverso. L'uomo può reggere a un duro colpo senza
lamentarsi, ma rimane come frastornato e istupidito. La donna invece
non perde né il senno, né il coraggio. Sapete, giusto
poche settimane fa mi è capitato un caso che illustra bene
quanto intendo dire. Un signore mi consultò in merito alla
malattia della moglie, una donna molto bella che, a sentir lui, aveva
un piccolo nodulo tubercolare sul braccio. L'uomo era sicuro che fosse
un disturbo di scarsa importanza, ma voleva sapere se sarebbe stato
più consigliabile il clima del Devonshire o quello della Costa
Azzurra. Visitai la donna e le riscontrai un orribile sarcoma delle
ossa, che in superficie si notava appena, ma interessava le scapole, la
clavicola e l'omero. Era il tumore più maligno che avessi mai
visto. Feci uscire la paziente e dissi al marito la verità. Come
reagi? Be', cominciò a camminare piano per la stanza tenendo le
mani dietro la schiena e guardando con estrema attenzione i quadri.
Rammento benissimo la scena: si metteva il pince-nez d'oro e li fissava
con sguardo completamente vacuo, per cui capii che non li vedeva
affatto, nè vedeva la parete alla quale erano appesi.
«Amputazione del braccio?» chiese infine.
«E anche della clavicola e della scapola» dissi io.
«Già, certo. La clavicola e la scapola» ripete,
continuando a guardarsi intorno con quegli occhi vuoti. Il trauma lo
stordi. Credo che non sarà mai più lo stesso uomo di
prima. La moglie invece accolse la notizia con grande coraggio e grande
serenità, e da allora si è comportata di conseguenza. Il
male era cosi invasivo che il braccio si spezzò quando lo
estraemmo dalla camicia da notte. No, non credo che il cancro
attaccherà ancora e ho forti speranze che la signora si
riprenda.
Il primo paziente lo si ricorda per tutta la vita.
Il mio non era degno di nota e i dettagli sono banali. Ma pochi
mesi dopo che ebbi messo su l'ambulatorio venne da me una persona
curiosa. Era una donna anziana, riccamente vestita, con in mano un
cestino da picnic di vimini. Lo apri con il viso rigato di lacrime e ne
emerse scodinzolando il cagnolino più brutto, grasso e rognoso
che avessi mai visto.
«Vorrei che gli desse una morte indolore» disse la donna.
«E subito, altrimenti mi pentirò della mia
decisione.» Poi si buttò sul divano e pianse con
singhiozzi isterici. Non occorre che ve lo ricordi, miei giovani amici,
ma meno esperienza ha un medico, più si sente investito della
propria dignità professionale. Cosi', offeso, stavo per
rifiutare di eseguire l'ordine, quando rammentai che, indipendentemente
dalla medicina, eravamo un uomo e una donna, e lei mi aveva chiesto di
farle un piacere di cruciale importanza ai suoi occhi. Perciò
condussi via il povero cagnetto e con l'ausilio di una scodella di
latte e qualche goccia di acido prussico gli diedi la morte più
rapida e indolore possibile.
«E finito?» chiese lei quando rientrai nella stanza. Era
davvero terribile constatare come, in mancanza di un marito e di figli,
avesse concentrato tutto il suo amore su quel piccolo goffo animale. In
preda al più nero sconforto, la signora se ne andò in
carrozza e solo dopo la sua partenza notai una busta chiusa da un
grande sigillo rosso sopra il tampone di carta assorbente posato sulla
mia scrivania. Sulla busta, a matita, era scritto: "Non dubito che
avrebbe svolto volentieri l'incarico senza farsi pagare, ma la prego di
accettare la somma qui acclusa". Giudicando la donna un'eccentrica
milionaria, aprii la busta con la vaga idea di trovarvi una banconota
da cinquanta sterline, ma dentro c'era soltanto un vaglia postale di
quattro sterline e sei pence.
Tutta quella storia mi parve cosi bizzarra, che risi fino alle
lacrime. Come imparerete, miei giovani amici, nella sua vita il medico
vede tante tragedie, che non riuscirebbe a reggervi se ogni tanto non
fosse toccato anche dal vento della commedia.
Un medico inoltre ha ogni motivo per provare riconoscenza. Non
dimenticatevelo mai. E'’ un tale piacere fare del bene, che si dovrebbe
pagare questo privilegio anziché essere pagati per esso.
Tuttavia un dottore ha naturalmente la casa da mantenere, e moglie e
figli a carico. Ma i pazienti sono i suoi amici o almeno dovrebbero
esserlo. Egli visita innumerevoli case e ogni volta il suo passo e la
sua voce sono accolti con gioia. Cosa si potrebbe chiedere di
più? Poi il medico è inevitabilmente una brava persona.
Sarebbe impossibile per lui non esserlo. Come si può vedere per
tutta la vita gente che sopporta con coraggio il dolore e restare duri
e cattivi? E’ una professione nobile, degna, umanitaria, e voi giovani
dovete fare in modo che si conservi tale.
The Surgeon Talks
pubblicato la prima volta nell'antologia "Round the Red Lamp -
Facts and Fancies of Medical Life", Londra, Methuen and Co.,1894.
Questo racconto apparve per la prima volta su internet, in Italia, nel
1995 sul server del Progetto Interplay realizzato dall'Associazione
scientifica Fatateam per rappresentare il "primo ospedale telematico
italiano": l'Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano
E poi ancora...
|