* * Comunicazione e relazioneprof. Pietro M. Toesca C'è un termine caratteristico del linguaggio sociologico e semiologico odierno che attiene esattamente alle riflessioni fatte finora a proposito della città, e vi porta qualche illuminazione decisiva. E la parola «comunicazione», cui si è già fatto cenno sopra. La ragione, cioè il significato che giustifica l'esistenza di ogni parola, è sempre duplice: per un lato è il suo significato preciso, non espresso da nessun'altra parola; per l'altro è il suo rimando complesso, più o meno esplicito ed esplicitabile, alle altre parole, ciò che fa sì che ciascuna lingua sia un sistema interrelativo e in qualche modo compatto di parole e quindi di significati. La parola «comunicazione» esalta particolarmente questo secondo aspetto, in quanto significa «rapporto
mediato da segni, o da simboli, o da significati», per cui è nella sua stessa
precisione semantica che si segnala la complessità, cioè il riferimento
al sistema dei segni. Cosicché i problemi della comunicazione sono sempre
duplici, cioè riguardano inestricabilmente il rapporto e i particolari strumenti
di esso. La comunicazione è dunque la cultura come sistema storico dei segni significanti. La comunicazione, mentre sottrae il rapporto all'immediatezza caduca e lampeggiante
dell'incontro-scontro fisico, tende ad oggettivare tutti i tramiti della
relazione, ordinandoli appunto in un sistema, o in una serie di sistemi,
che negano l'origine e il valore del loro sorgere, cioè i soggetti, in vista
del cui rapporto la comunicazione vale. Questo eccesso «idealistico» può essere scongiurato soltanto dal controllo che il soggetto (che parla ed ascolta, guarda e vede) può esercitare sul rapporto espressione-comunicazione, mediante una riflessione concreta (che un tempo si definiva come filosofia), cioè come riflessione critica su un oggetto non mai distaccato interamente dal «suo» soggetto, cioè da quella realtà «attiva» rispetto alla quale ogni altra realtà è oggettiva in quanto le si trova dinanzi, in prospettiva, udita, vista, e così via. Questa riflessione critica è la comunicazione per eccellenza, poiché il suo scopo e quindi la sua definizione caratteristica è l'«umanizzazione dei soggetti», la tendenza a far sì che i soggetti prendano coscienza di sé e su questa base stabiliscano i loro reciproci rapporti. Ma per questo la riflessione critica è il correttivo della tendenza oggettivistica della comunicazione, poiché induce a considerare il sistema dei segni nella loro strumentalità, cioè in quell'aspetto dialettico per cui sono essi a trasformare la relazione in comunicazione, cioè in caratteristico rapporto umano; ma è viceversa la relazione reale lo scopo primario della comunicazione, i segni essendo provocatori della fruizione dei significati. Questa reciprocità dinamica tra comunicazione e relazione, ovvero tra segni e significati, è ben esemplificata dal rapporto tra amore e sesso. Il mondo umano è dunque mondo degli uomini che comunicano, che cioè sono in relazione reciproca - in interrelazione - tra di loro soprattutto attraverso segni. Ma c'è un altro, corrispondentemente rovesciato, rovesciamento tra comunicazione e relazione, che di nuovo il mondo moderno (che è il mondo felice-infelice dell'esagerazione) ha provveduto ad esasperare, grazie all'enfasi dei suoi mezzi di comunicazione (cosiddetti di massa). Si tratta di quella prospettiva - che in pratica si chiama violenza - per la quale l'uomo tende a trasformare tutto in relazione, servendosi dei segni soltanto per organizzare il rapporto come acquisizione, conquista, imposizione fisica, omogeneizzazione spazio-temporale. La finzione e il gioco (i modi rituali che addirittura gli etologi riconoscono nei rapporti tra gli individui e i gruppi delle specie animali più evolute) vengono abbandonati, smentiti, e «tutto viene preso sul serio». Il teatro è sostituito dall'esibizione spettacolare, il cui scopo dichiarato è la conquista, la realizzazione della dipendenza!
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