* * La funzione della cultura: il «come se»prof. Pietro M. Toesca In realtà questo aspetto utopico non è altro che la capacità critica della cultura, la sua possibilità di fare «come se» nulla esistesse; capacità che peraltro richiede una straordinaria esperienza di indagine che soltanto la partecipazione alla realtà costituita può offrire: la fondazione non è l'inizio puro, ma il ricominciamento, e l'età dell'oro è piuttosto la splendida età aurea del sapere critico, del sapere che, prendendo le distanze dalla realtà vigente, si pone liberamente, come libertà, dinanzi al problema del giudizio dialettico, che confronta ciò che è con ciò che deve essere, e con ciò che può essere. La libertà della cultura non è indipendente dalla libertà in generale: in una città in cui la ricchezza è, per sua natura, anche lo strumento del ricatto con la minaccia della povertà intesa come miseria, la libertà è relativa all'autosufficienza, e questa si misura in funzione dei limiti posti al desiderio. L'intellettuale libero può salvare la propria libertà e l'altrui solo battendosi
per questi limiti, perché la società sia fondata su di essi, e i due estremi
della povertà e della ricchezza non impediscano ai più di porsi liberamente
di fronte ai problemi della propria realizzazione. L'intellettuale è sempre sul discrimine della libertà, nel senso che egli
non può agire se non è libero dal bisogno nel modo più radicale e completo,
cioè duplice: libero dalla povertà e libero dalla ricchezza, non ricattabile
da questa, non paralizzabile da quella. Quando si dice che la caratteristica della fondazione definisce la città autentica, si fa riferimento a questa dialettica permanente tra la misura oggettiva dei bisogni soddisfatti e la misura soggettiva della valutazione della loro essenzialità: questa dialettica è storica, dunque mai definitiva, e in questo consiste la mediazione permanente che la cultura ha da compiere nei confronti della politica. La città fondabile è quella in cui la cultura può compiere e compie questa funzione mediatrice, nel senso di garantire essa, problematicamente, l'equilibrio tra il desiderio e il valore. Città impossibile (nel senso di assurda, che tende continuamente all'ingiustizia, all'illibertà, alla divisione) è tanto quella in cui questo limite è affidato allo svolgimento apparentemente oggettivo delle possibilità - e di fatto alla discriminazione compiuta dai ricchi nei confronti dei poveri mediante il controllo esclusivo della produzione dei beni, elementari e non - quanto quella in cui questo limite è posto dall'esterno, non problematicamente, come limite a tutti - i bisogni, quelli elementari e quelli essenziali, identificati come richieste puramente economiche e non già liberatorie di bisogni universali costitutivi appunto dell'uomo: il bisogno di esprimersi, di inventare, di identificarsi, di rappresentare, di conoscere e così via. Platone nella Repubblica descrive questa mostruosa composizione di società
ad un tempo capitalistica e dittatoriale, e la storia moderna, quella attuale
in particolare, ne dà esempi lussureggianti e straordinariamente elaborati. Ciò che avviene nei raggruppamenti sociali delle varie specie, e delle specie
tra di loro, e che è guidato dall'istinto, ovvero da una serie di regole
che agiscono secondo percorsi definiti, senza mediazioni «storiche» almeno
percepibili a breve termine, nell'uomo dipende da un insieme di reazioni
e controreazioni in cui è impegnato sempre, a qualche livello, il fattore
individuale, l'intelligenza, la volontà e il sentimento, nei cui confronti
le leggi oggettive del comportamento sono condizioni e non meccanismi assoluti. Solo una società in cui i beni, e gli strumenti per produrli, sono assumibili
in concetti di valore la cui composizione comprende l'uomo individuale,
e non la specie umana nel suo generico e astratto insieme, come soggetto
di riferimento, può a tutti gli effetti - e non solo a quelli di una definizione
elencatoria che vale più per misurare il progresso che la felicità - dirsi
umanamente adeguata. In altri termini il valore sociale è misurabile in funzione dell'intelligenza, della volontà partecipativa, dei sentimenti di identificazione reciproca che esso attiva. Non sono dunque le idee - particolari o universali, economiche o ideali - a qualificare il significato di un ordinamento sociale: ma la consapevolezza e l'intenzione dei soci di realizzare, attraverso il loro rapporto reciproco e con le cose, un percorso valido per tutti, apportatore di felicità ed esorcizzatore della sofferenza, per quanto di volta in volta e di luogo in luogo sia possibile. Il valore sociale supremo è dunque la solidarietà, come attiva convivenza di individui reali concreti. In questa prospettiva può valere il principio del tutto a tutti subito; nel senso che il tempo di fruizione è relativo alla vita reale di ciascuno e non a quella ipotetica futura; lo spazio è quello dell'esercizio possibile della presenza di ognuno; e la quantità è il risultato dialettico di una tensione (per ciascuno diversa a seconda del suo grado di maturazione personale e della sua configurazione reale) tra l'infinità dei rapporti conoscitivi da instaurare e le condizioni soggettive, in parte economiche in parte mentali, di cui essere in possesso per goderne. Un esempio banale ma significativo riguarda il viaggio.
|