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Rete delle piccole Citta`

éupolis: la teoria e la prassi

L'associazione delle piccole città si pone come riferimento concreto di un vero e proprio movimento attraverso il quale la presa di coscienza dell'affinità sociale, economica, politica (e ci sembra appropriato dire, sinteticamente, problematico) di un territorio, si traduce in operazioni che della realtà hanno anche tutte le caratteristiche proprie del mondo fisico, la visibilità, la tangibilità; hanno insomma quella concretezza rispetto a cui la cultura è sì anch'essa realtà ma nel senso che la qualifica giudicandola, proponendosi come sua teoria, come ciò che ne esplicita il valore e criticamente è capace di distinguerlo e contrapporlo al diverso e al contrario.
Questo per dire che lo scopo stesso teorico di quella che potremmo chiamare la teoria critica della piccola città è talmente connesso con i processi reali che essa può attivare, soprattutto interpretandoli e facendone emergere il bisogno e la reale aspirazione, da essere separato dallo scopo pratico del movimento in generale solo per potersi riservare quell'aspetto critico che fa di ogni processo reale un insieme di atti umani, cioè una storia, e non una semplice serie di accadimenti, più o meno prevedibili o alluvionali, di cui poi doversi occupare soltanto per giustificarli (magari con la virtù della necessità).

Questa è in particolare la funzione della rivista che da questo mese esce anche nella sua nuova versione per Internet, che state leggendo.

éupolis è il luogo in cui si intende dibattere ed elaborare non già ciò che si deve fare, ma ciò che in mille modi sta accadendo - questa volta nel senso che propriamente è fatto accadere come esito più o meno consapevole, coordinato, politicamente avvertito - nell'area della piccola città, cioè di quel territorio esemplare in cui l'antica civiltà della città ancora qualifica, almeno fisicamente, cioè geograficamente, presenze, apparenze, distanze, proporzioni.

Questo dibattito e questa elaborazione debbono servire appunto a cristallizzare in modo ad un tempo più visibile e più dinamico la sostanza del movimento esistente: per questo il rapporto tra la rivista e la rete è da concepirsi come un rapporto dialettico in cui la rivista stessa si appropria del momento teorico, evidentemente non per esaurirlo, ma per proporlo a sua volta come un procedimento realmente identificabile.
Si dice questo perché, come ogni pensiero teorico è ambiguo poiché, nell'atto stesso in cui si pone come pensiero intero, rischia di pretendere un'autosufficienza che lo restringe nel suo campo di pura teoria, quasi prestando il fianco all'interessata interpretazione di chi (come è sempre accaduto nella storia) fa di tutto per ridurlo a bel pensiero assolutamente innocuo, così ogni prassi, in particolare politica, può pretendere di “cambiare la realtà” semplicemente ponendosi come fatto globale perché nuovo, perché diverso, dotato di forza determinante perché adeguato al momento storico.

Alla neutralizzazione della teoria corrisponde la velleitaria omologazione della prassi ad un ordine di accadimenti in cui "tutte le vacche sono nere", cioè tutti i fatti si confrontano nella loro pura forza senza alcuna illuminazione che permetta di distinguerli in vista di qualche altro criterio.
Per non cadere in questo trabocchetto (che neutralizza in partenza ogni elaborazione teorica ed ogni ipotesi politica) dobbiamo descriverne accuratamente le condizioni, che sono poi quelle viste come eterne dalla cultura e dalla prassi che si danno insuperabilmente come il punto d'arrivo della civiltà moderna di segno occidentale.


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