* * Il diritto di fare la storiaprof. Pietro M. Toesca Se il concetto di valore include dunque il doppio riferimento, a tutta la realtà e a ciascun uomo preso nella sua interezza possibile, società umana sarà quella che mette in opera ogni espediente affinché la felicità come assunzione personale di tutta la realtà da parte di ciascun uomo avvenga il più possibile, e ciascun uomo possa riprodurre in sé tutto ciò che si presenta come costitutivo del mondo oggettivo, e viceversa questo mondo riceva da ciascun uomo una traccia della sua presenza trasformatrice, elaboratrice, ordinatrice. Questo è il diritto a fare la storia che costituisce ciascun uomo come soggetto attivo reale: ma questo diritto
impone alla storia misure di accessibilità ben precise, quelle dello spazio
e del tempo oggettivi non travalicanti le possibilità di percezione, di
movimento reale, e di contemporaneità dell'uomo inteso come singolo individuo
concreto. La reciprocità tra l'essere e il fare tutto questo - che è così difficile da teorizzare perché la tendenza della teoria è quella di assumere nell'universalità della forma, cioè del modo di considerare, i modi di ogni contenuto considerato, cioè la realtà cui attribuire le norme definite come valori costitutivi della partecipazione di ogni cosa alla realtà - è con semplicità vissuto nelle forme di società in qualche modo «naturali», dove cioè l'insieme risulta concretamente e tangibilmente dall'esistenza e dalla compresenza delle parti. La città fondabile e da fondare è lo sbocco di questa esperienza «naturale», grazie ad un'elaborazione necessaria ad eliminare il rischio di chiusura bigotta e razzista «al di qua dell'universale», caratteristico di tutte quelle società che hanno trasformato l'esistenza in puro fatto, attribuendo ad esso ogni valore senza problematizzarne assolutamente il rapporto con ciò che fa sì che l'individuo umano sia tale, non pura parte di una specie, ma portatore delle caratteristiche specifiche al livello di una capacità sintetica attiva e non solo ricevuta. L'uomo è quell'individuo che è capace di farsi uomo, la cui caratteristica
consiste cioè nella reciprocità tra il suo proprio essere e il suo fare. La netta e rigorosa separazione odierna tra privato e pubblico - che deriva,
da un lato, dalla enfatizzazione dello Stato e delle sue funzioni e, dall'altro,
dall'ampliamento spropositato, tendenzialmente planetario, della connessione
di ogni procedimento che, perciò, dipende da un sistema di mediazioni sempre
meno disponibile al singolo - restringe però la possibilità, e quindi la
stessa intenzione, e il gusto, di organizzarsi la presenza fisica nel mondo
da parte del singolo, agli ambiti immediati, non correlativi, della propria
figura: casa e vestiario possono portare il segno, l'addobbo, della persona
che li abita. Il problema della fondazione della città deve dunque oggi fare i conti con questa separazione-riduzione. Ma per questa ragione storica esso ha con sé tutti gli elementi per riproporne il significato e valutarne la necessità: può l'uomo rinunziare alle misure del proprio porsi direttamente nel mondo, prima di tutto nello spazio e nel tempo, a favore di una elaborazione di strumenti che ponendo condizioni assolutamente diverse, cioè tutte indirette, a questo rapporto tende a modificare la natura stessa dell'uomo, cioè il rapporto costitutivo tra spirito e corpo, cultura ed economia, pensiero e spazio-temporalità?
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