Agamennone vi invita alla lettura di... Torna alla pagina principale A PARTIRE DA PLINIO IL VECCHIO... BREVI NOTE PER UNA BIBLIOGRAFIA SUL LAMBRO Giustino Pasciuti La quiete meditativa dei colli di Brianza fu spesso motivo di ispirazione per tanti spiriti illustri che Carlo Cattaneo volle celebrare in un suo scritto del 1836, ma, suo malgrado, egli doveva constatare che il territorio brianzolo era rimasto «illaudato e inosservato dagli scrittori antichi». Il rilievo peccava forse per un eccesso di generalizzazione, perché il Lambro, il fiume brianzolo per antonomasia, era ben conosciuto dagli Antichi e per primo da Plinio il Vecchio, eccellente conoscitore della sua terra d'origine. In due luoghi della Storia naturale viene ricordato il Lambro, prima quale affluente del Grande Fiume della Pianura e poi quale immissario/emissario del lago Eupili (Pusiano). Le due brevi notizie pliniane rivelano, nel loro contesto culturale e storico, implicazioni per noi non immediatamente percepibili. In primo luogo gli Antichi vedevano nelle sorgenti e nei fiumi delle divinità che dissetavano gli uomini ed i campi e fondavano le città (Plin. N.H. XXXI, 4). L'aura sacrale che circondava quei fenomeni naturali,
già di per sé tanto importanti, faceva sì che i fiumi
ricevessero talvolta il nome prima delle cime dei monti e lo trasmettessero
talaltra agli abitati rivieraschi.
Si deve poi considerare che quando Plinio scriveva (1 sec. d.C.) l'assetto romano del mondo antico era un fatto ormai compiuto ed il Naturalista poteva descrivere, scernendo dal tutto, le parti significanti che lo componevano: in questo contesto il Lambro era un segno non secondario del sistema idrografico della grande pianura fertile collocata al centro dell'ecumene romana. Il Po portava trenta affluenti all'Adriatico, ma Plinio vuole nominare solo i più noti («celeberrima ex iis») e fra questi il Lambro. Lo stesso modo di percepire il mondo come universo romanizzato
è ancora più evidente in un itinerarium dove troviamo per
la seconda volta il nostro fiume.
La Tabula Peutingeriana, questo il nome dell'itinerarium,
consiste in una striscia pergamenacea lunga oltre sei metri e alta poco
più di trenta centimetri; suddivisa in 11 sezioni (segmenta),
nel terzo segmentum si svolge sinuoso il segno del Lambro («Fl.
Ambrum») a partire dalla linea pedemontana fino al Po.
L'ultima testimonianza antica ci viene da un nobile personaggio originario delle Gallie. Sul finire del 467 Sidonio Apollinare scriveva all'amico
Erenio per narrargli di un suo viaggio da Lione a Roma.
Epiteti qualificanti, dettagli precisi che possono forse sembrare convenzionali e retorici per il modulo espressivo adottato, ma, a ben vedere, tutta la descrizione è l'esito dell'osservazione diretta: «inspexi», afferma infatti Sidonio. Connotata da sincera meraviglia ci è stata conservata
l'immagine, per noi irrimediabilmente perduta, di un paesaggio fluviale
folto di vegetazione, rorido d'acque, brulicante di vita.
La raffigurazione più antica di un ponte sul Lambro, probabilmente il ponte d'Arena, si trova in una cronaca milanese del secolo XIV: il Lambro , delineato anche qui in tutto il suo corso, passa presso il toponimo «Modoetia» dove una schematizzazione alquanto malferma rappresenta il manufatto. Il fiume era anche una realtà economica di capitale importanza, e non solo per i monzesi. Nel secolo XII ancora una cronaca milanese riferisce che
attraverso il Lambro giungevano a Milano «ultra-marinas divitias».
In conclusione le fonti e gli statuti qui rapidamente esaminati, ci restituiscono l'evidenza di un «altro» fiume.
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