Gruppo
Fermodellistico Milanese
"Italo Briano"
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DOCs - TERMINOLOGIA
FERROVIARIA
...APPLICATA ALLE LOCOMOTIVE!!!
a cura di Paolo Bardotti
Per capire un po' meglio il mondo delle ferrovie è utile conoscere qualche termine specifico.
Innanzi tutto è bene capire le sigle che identificano i vari rotabili. Questi vengono contrassegnati con una sigla sui panconi (in prossimità del gancio di trazione per intenderci) e sulla cassa, tipicamente di fianco al finestrino laterale della cabina di guida. Tale sigla è composta da una lettera, o gruppo di lettere, indicante il tipo di mezzo e il tipo di motorizzazione, tre cifre indicanti il gruppo di appartenenza e tre o quattro cifre indicanti il numero di serie.
Le locomotive a vapore non hanno una lettera nella loro sigla (erano all'origine l'unico mezzo di trazione disponibile), e vennero catalogate con un certo disordine essendo spesso di risulta da unificazioni di reti e amministrazioni precedenti, senza contare quelle di costruzione americana e le locomotive avute come prede belliche. Le locomotive elettriche, siano esse trifasi o a corrente continua, sono identificate della lettera E, quelle diesel dalla lettera D (tranne gli automotori da manovra che non hanno una lettera, esclusi i gruppi D.141, D.143 e D.145), gli elettrotreni come il Settebello o il Pendolino sono identificati dalla sigla ETR, le automotrici termiche dalla sigla ALn e ALDn e le automotrici elettriche dalla sigla Ale.
Per quanto riguarda la sequenza di tre cifre indicante il gruppo di appartenenza, per le locomotive elettriche si tento' originariamente di dare loro un ben preciso significato. Per rendere più snella la cosa faccio un esempio: E.626.001 in teoria identifica l'esemplare n.1 del gruppo 626, elettrico, caratterizzato da 6 assi, 2 carrelli, 6 motori. Questo criterio negli anni venne mantenuto solo per la prima cifra che ancora adesso indica il numero di assi. Molto spesso si sono indicate con sigle differenti locomotive uguali ma con rapporto di trasmissione differente. E' il caso delle E.645 e delle E.646, macchine identiche ma con due rapporti di trasmissione differenti.
Un mezzo di trazione è poi caratterizzato dal rodiggio, un numero di tre cifre che indica il numero e la disposizione di assi portanti e motori, una classificazione internazionale che delinea delle tipologie di locomotive comunemente usate dalle ferrovie di tutto il mondo. Partendo dal "muso" della locomotiva, la prima cifra indica il numero di assi portanti folli (ovvero non motorizzati) anteriori, la seconda indica il numero di assi motori, la terza il numero di assi portanti folli posteriori. Nel caso di assi accoppiati da bielle, la seconda cifra può essere sostituita da una lettera secondo la numerazione alfabetica, seguita dal simbolo "o" se gli assi motori sono indipendenti. Facciamo qualche esempio: una locomotiva a vapore del gruppo 740 ha un carrello portante anteriore e quattro assi motori accoppiati da bielle, quindi il suo rodiggio sarà 1-4, oppure 1-D; un locomotore del gruppo E.646 ha sei assi motori indipendenti su tre carrelli, quindi il suo rodiggio sarà indicato dalla sigla Bo+Bo+Bo; un E.428 ha rodiggio 2-Bo+Bo-2; il Tartaruga ha rodiggio Bo+Bo; i locomotori svizzeri a sei assi motori su due carrelli da tre assi l'uno hanno rodiggio Co+Co.
Si noti che l'uso dei simboli "+" e "-" non è casuale: tra un carrello motore e il successivo si usa il "+", tra un carrello portante e un carrello motore, come nel caso dell'E.428, si usa il "-". I carrelli si rivelarono necessari con l'evolversi delle prestazioni e delle esigenze di carico per gestire il numero crescente di assi presenti su di un singolo rotabile. Di fatto il carico ammesso è un limite intrinseco della linea ferroviaria e non del rotabile che la percorre, analogamente a quanto succede nel trasporto su ruota gommata. Il limite è poi un limite per unità di superficie, per cui, ripartendo un carico su più assi, si possono "violare" i limiti imposti di tante volte quanti sono gli assi a disposizione.
Ma in curva bisogna fare i conti con l'effetto corda essendo il rotabile un solido. Di conseguenza si rende necessario articolare i vari assi del rotabile su più sottotelai indipendenti, i carrelli appunto. Vi sono altri trucchi, come per esempio rendere gli assi centrali liberi di traslare trasversalmente al binario, ma sono rimedi validi solo per rotabili corti a più assi. Inoltre l'uso di carrelli uguali tra carri e carrozze differenti ne rende molto più economica la realizzazione e la manutenzione. Allo stato attuale delle cose tutti i rotabili, tranne i carri merce e gli automotori da manovra, sono a carrelli. Questi sono ancorati alla cassa tramite cinematismi che direttamente o indirettamente creano un punto di rotazione, un perno tra cassa e carrello. La distanza tra questi perni, siano essi reali o virtuali, è l'interperno. La distanza fra gli assi di un carrello è il passo del carrello, dove tale misura è intesa come distanza fra gli assi di rotazione delle ruote. Nel caso invece di un carro a due assi si parla comunemente di interasse.
Nel complesso, un rotabile ha una peso di servizio che viene indicato sulla cassa dello stesso rotabile come peso reale, intendendo con questo il vero peso del rotabile all'uscita dalla fabbrica, a prescindere dal peso teorico di progetto. Infatti, pur essendo variazioni per lo più minime, differenze negli approvvigionamenti di materie prime, variazioni di lavorazione (saldature piuttosto che chiodature), forniture di materiali da parte di fornitori differenti, per non parlare di modifiche e migliorie apportate con l'avanzare delle consegne, possono portare a variazioni di peso nell'ordine delle centinaia se non migliaia di chili.
Un'altra dicitura compare di fianco a quella del peso reale: peso frenato. Tale misura indica il grado di frenatura rispetto al peso del veicolo. E' una necessità, stando a quanto spiegatomi in varie occasioni da personale di macchina, data dal rendere il più possibile omogenea la ripartizione della forza frenante fra i vari rotabili durante il servizio in convogli spesso e volentieri non omogenei. Durante la fase di accelerazione tutti i ganci sono in tensione (ora con i treni reversibili navetta il locomotore può essere in "spinta", ma il concetto non cambia). Dovendo passare da una fase di accelerazione ad una di frenata, se il locomotore avesse una forza frenante in proporzione al proprio peso superiore a quella delle carrozze si troverebbe a dover frenare oltre a sé stesso anche una frazione del suo convoglio. In termini pratici le carrozze spingerebbero il locomotore durante la frenata. Ma questa condizione è da evitare perché a frenata finita, dovendo riaccelerare, i ganci dovrebbero prima tornare in tensione per poter compiere il loro lavoro. Questo provocherebbe degli strappi che, oltre a rendere la marcia poco confortevole per passeggeri e merci delicate, alla lunga potrebbe portare alla rottura prematura dei ganci (condizione remotissima visti i coefficienti di sicurezza adottati). Per evitare tutto questo si deve cercare di tenere il convoglio sempre in tensione (o in compressione se la locomotiva è in spinta). La cosa si ottiene facendo in modo che il locomotore freni poco meno del suo convoglio, tenendo così sempre in tensione i ganci.
Il peso frenato di una locomotiva è sempre inferiore al suo peso reale, mentre il peso frenato di una carrozza molto spesso supera il suo peso reale. Supponendo di dividere il peso frenato per il peso reale, si ottiene una sorta di rendimento che, nel caso delle locomotive, è volutamente inferiore all'unità, e nel caso dei vagoni e delle carrozze è maggiore o uguale all'unità.
Nel tentativo di rendere più facile interfacciare carrozze di nazionalità differenti, cosa frequente nei convogli internazionali, si costituì l'Unione Internazionale delle Ferrovie, siglata UIC, acronimo del nome francese Union Internationale des Chemins de Fer, avente lo scopo di classificare i materiali rotabili secondo schemi comuni, fornire degli standard internazionali (dimensioni, attacchi, diciture, etc) e dare anche dei criteri di valutazione delle prestazioni in modo da rendere più facile calcolare i limiti di traino e di carico di locomotive e carrozze.
Riguardo alle locomotive, oltre alla tensione (e alla frequenza nel caso di alimentazione in corrente alternata), le locomotive vengono classificate tramite degli indici di prestazione. Tra questi troviamo tre distinte indicazioni di potenza. Per potenza nominale si intende la potenza di progetto, il dato di targa, ovvero quella potenza, la massima in teoria, che il motore dovrebbe essere in grado di dare. Nel caso di un locomotore si intende la potenza fornita nel complesso dai suoi motori. Per potenza continua si intende invece la potenza massima disponibile costantemente per un tempo indefinito, mentre la potenza oraria (o unioraria) è la potenza massima disponibile costantemente per un'ora. Questo è dovuto al fatto che la potenza nominale non è sempre disponibile, ma può essere mantenuta per lassi di tempo determinati oltre i quali possono subentrare fenomeni di fatica e surriscaldamento che danneggiano il motore.
Prendendo ad esempio il "Tartaruga", durante le fasi di avviamento le alte correnti assorbite potevano bruciare i pacchi di resistenze del reostato di avviamento, dando di fatto un limite temporale al macchinista che doveva accelerare in fretta per non danneggiare il locomotore. Ma la potenza disponibile, particolarmente quella continua, è solitamente disponibile ad un determinato numero di giri. Sopra e sotto tale numero di giri cambiano i parametri di rendimento, coppia, usura etc del motore elettrico. Bisogna pertanto prevedere un rapporto di trasmissione fra l'albero motore (ossia il rotore del motore elettrico) e la ruota del locomotore tale che alla velocità di esercizio prevista per il locomotore stesso corrisponda il numero di giri ideale del motore. Nella pratica la cosa si realizza tramite ingranaggi o coppie coniche, e per rendersi conto della dinamica della cosa basta pensare al cambio della bicicletta. Nei locomotori a trazione elettrica tale rapporto è fisso, poiché il motore elettrico è in grado di fornire coppia partendo da fermo, cosa non possibile con i motori a scoppio che trasmettono coppia solo se già in moto ed entro certi intervalli di numero di giri.
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