Dopo la lettura di questa lettera, in cui ancora una volta si rammaricava per i genitori così indifferenti ai suoi problemi e che anzi gliene creavano sempre di nuovi, mi ricordai quanto era forte il suo affetto per loro, specialmente per la mamma, che adorava e idealizzava. Una volta, quando Corrado era, a scuola, nella classe della mia collega, lo incontrai per le scale: scivolava sul mancorrente, con aria sfottente. Lo fermai e cercai di fargli osservare il pericolo che poteva correre scendendo a quel modo. Abbassò gli occhi e mi fece capire che non lo interessava la cosa: per cambiare discorso gli domandai: "Come sta la tua mamma?". Scoppiò in un pianto dirotto, e tra i singhiozzi mi rispose: "Non so più niente di lei. Se ne è andata e mi ha lasciato solo con mio padre". Già, proprio con quel padre che non sapeva far altro che portarlo con sé nelle bettole a bere. Come era possibile confortare il cuore di un bambino a cui era negato l'affetto della persona che gli era più cara?


Unitamente a questa lettera, nella stessa data, scrissi la seguente, indirizzata ad una signora di cui mi aveva appunto parlato il cappellano delle carceri quando andai a fargli visita nel mio passaggio per Novara.