Avevo conosciuto Corrado alla Scuola Medico Pedagogica di Lucento (To), dove ho insegnato dal 1950 al 1955.
Una scuola speciale per anormali del carattere o dell'intelligenza, o piuttosto per ragazzi purtroppo poco graditi nelle scuole così dette "per normali".
Ragazzi a volte solo un po' ritardati, o caratteriali per turbe alimentate da scarsa comprensione nell'ambito familiare e scolastico. Certo, ragazzi che disturbano il tranquillo svolgersi delle lezioni di maestri esigenti di vita ordinata e facile; ragazzi però con un gran bisogno di affetto e di stima.
Fortunatamente le scuole discriminanti sono state abolite e gli insegnanti, magari aiutati da altri "di appoggio", accettano oggi tutti gli elementi più o meno handicappati.
Debbo dire che la Scuola Medico Pedagogica aveva i suoi lati positivi: per il numero limitato di alunni per ogni classe, per l'impostazione dell'orario, per la suddivisione del programma in vari anni, per l'alternarsi, alle ore di lezione, di ore di laboratorio, di canto, di ginnastica ritmica e correttiva con insegnanti specializzati. Però ogni alunno si sentiva emarginato, guardato male dagli amici frequentanti altre scuole.
Iniziai l'insegnamento in quella scuola poiché avevo conseguito un diploma di specializzazione in ortofrenia e didattica differenziale. Ero all'inizio della mia carriera, piena di entusiasmo e di grandi aspirazioni... Il primo impatto fu duro. Mi fu assegnata una classe di caratteriali sui 12-14 anni.
Classe mista, quattordici elementi provenienti dagli ambienti più infimi della società: candidati alla prigione o alla prostituzione.
Mi colpì il primo giorno Carlo, un ragazzino sveglio e pronto che, con un coltellino, tagliò il labbro di un compagno; e poi Bertino, allampanato, che si coricava per terra in modo strano per "fare la foca", oppure costruiva aeroplani di carta, li incendiava e, così accesi, li faceva volare. C'era anche Pierina, piuttosto bruttina che, per un tic nervoso al labbro, pareva imitare una scimmietta. Poi c'era Luigi, premuroso, attivo, che mi spiegava il perché della sua presenza lì dicendomi che il maestro non l'aveva più voluto nella sua classe perché non aveva saputo sopportare le canzonature dei compagni, più piccoli di lui, tanto che un giorno ne picchiò uno: così fu cacciato. Capii subito che per insegnare ci volevano polso e amore. Tanto amore; tutti ne erano assetati e privi.
I fatti del primo giorno che, a dire il vero, un po' mi spaventarono, non si ripeterono più. Subito si instaurò un clima di amicizia fra me e loro, e questo clima migliorò di giorno in giorno.
Avevano bisogno di sentirsi stimati: non era difficile scoprire quel qualcosa di buono che avevano tutti!
E fu così che cercai di vedere in loro, prima che i difetti, le qualità. Assegnai a ciascuno un incarico, valorizzandone le doti. Luigi fu il mio aiutante: aveva un certo ascendente sugli altri perché era buono e comprensivo; fu un capo-fratello davvero valido. Carlo, amante del pallone, guidava la squadra; un altro si curava delle piante poste sul davanzale delle finestre, un altro riordinava i quaderni o cancellava le lavagne: tutti avevano il loro compito specifico e ne erano fieri!
I risultati furono ottimi: finalmente si sentivano valorizzati. Un giorno Carlo mi domandò chi fosse il più bravo. Ricordo che risposi: il primo in studio è C., il primo in condotta è S., il primo nella cura delle piante è B., e così via, in modo che tutti si sentirono i primi della classe.
Certo, non sempre era facile svolgere il programma prefissato: ogni giorno, si può dire, ero costretta a cambiare metodo... e soprattutto dovevo passare molte ore nel conversare a tu per tu con qualcuno per aiutarlo a risolvere grossi problemi: Franca, per esempio, mi diceva che a volte aveva "incubi" per il comportamento di certuni incontrati nelle sale cinematografiche dove si recava da sola. Rita era sconvolta nel raccontarmi, con fatica, di uno zio che aveva abusato di lei. Giovanni alla sera accompagnava il padre in collina e assisteva ai suoi incontri con le prostitute. L'elenco sarebbe molto lungo... poveri bambini!
Un giorno notai che Franca aveva contratto una malattia cutanea. Doveva recarsi all'Ufficio d'Igiene, ma nessuno dei familiari si curava di accompagnarla. Decisi che l'avrei condotta io, ma occorreva andarci al mattino e così avrei dovuto lasciare la classe. Ne parlai agli alunni appellandomi al senso di responsabilità di ciascuno e li invitai a svolgere i compiti che avrei loro assegnato mentre rimanevano soli, in silenzio, buoni, in modo di farmi una sorpresa.
Per prudenza avvertii la direttrice, la quale mi assicurò che sarebbe salita a vederli. Al mio ritorno passai in direzione e provai una gran gioia quando la stessa direttrice mi accolse allegramente e mi disse: "Pensi, signorina, che mi ero dimenticata della sua classe! Quando me ne ricordai era passata più di un'ora e, terrorizzata, corsi sopra. Quale fu la mia sorpresa: erano tutti tranquilli, in silenzio, al lavoro. Fui così meravigliata che sentii il bisogno di portare loro le caramelle!".
Proprio così: con l'amore e la stima si possono ottenere da questi ragazzi cose che forse è difficile ottenere nelle classi "normali".
E come ci tenevano al giudizio degli "altri"! Fu così che il venerdì di Carnevale, nonostante il timore dei superiori, condussi una bella squadra in piazza Vittorio, sulle giostre. Incaricai Luigi di fare da guida: proprio quel Luigi di cui mi era stato detto: "Lui no, per carità... non si fidi!"
Gli alunni delle altre scuole si scalmanavano, uscivano dalle file gridando, facendo sgolare i responsabili, e invece la famigerata squadra della "Pedagogica" si comportò esemplarmente, rispettando l'ordine, la disciplina, l'educazione, tanto da ricevere gli elogi degli organizzatori.
Questo dimostra che molto si può ottenere anche da chi è sempre escluso dal vivere civile, se solo gli si dà fiducia e responsabilità.
Nel 1951 arrivò in questa mia classe ormai affiatata e legata a me, il piccolo Corrado. Insieme ai miei alunni dell'anno precedente, che frequentavano ora la III superiore, me ne vennero aggiunti alcuni della II superiore.
Superiore perché il programma di ogni anno era suddiviso in due corsi: uno inferiore e uno superiore. Anzi la prima si faceva in quattro anni: due di "preparatoria" e poi I inferiore e I superiore. Così in seconda arrivavano bimbi di dieci anni circa. Corrado non aveva frequentato tutti quegli anni di scuola, venne ammesso alla seconda superiore a nove anni perché sveglio e pronto. Era stato mandato in quella scuola perché cleptomane, ma a me non fu detto. Me ne accorsi quando in classe cominciarono a mancare piccoli oggetti: gomme, matite, penne e così via. I compagni se ne lamentavano e accusavano lui dei furti.
Iniziai allora un trattamento psicologico su di loro per farmene dei collaboratori nel mio piano di guarigione.
Approfittai di un momento in cui Corrado era fuori classe per spiegare ai ragazzi che non sempre il furto è compiuto per cattiveria e che è sbagliato tacciare subito di "ladro" l'autore. Rubare può essere la conseguenza di una malattia: e per questo Corrado non era un ladro, ma un ammalato che insieme dovevamo cercare di guarire. Era necessario perciò trattarlo bene, non inveire contro di lui, ma portarlo a restituire il mal tolto subito, senza paura di essere punito. Dovevamo fargli capire che, quando gli era necessaria una cosa che non aveva, doveva chiederla e, insieme, l'avremmo accontentato. Luigi fu il suo "angelo custode". Gli si fece amico, si investì del suo nuovo incarico assunto spontaneamente e non lo lasciò più.
L'ultimo furto fu di due statuine del Presepio. Poi non mancò più niente.
L`avevo messo nel primo banco davanti a me. Era molto attento e imparava abbastanza facilmente. A casa però non faceva mai un compito né studiava. Mi diceva:
"Come posso farlo se abbiamo solo due camere e i miei bisticciano sempre, gridando tutto il giorno?".
Appena ricevuta la mia lettera in risposta alla sua, Corrado mi riscrisse.