Bollettino Scientifico di Aggiornamenton. XXV - Ottobre 1997PREMESSALo scopo di questo bollettino della Società Italiana per lo studio
dell’osteosintesi è di riassumere i metodi per la cura delle lesioni
traumatiche e di alcune malattie dello scheletro.
In questo numero pubblichiamo alcuni lavori sugli effetti delle sollecitazioni meccaniche e degli stimoli relativi a queste nei fenomeni riparativi ed osteointegrativi delle fratture e delle protesi senza cemento. Le sollecitazioni e la loro integrazione nel tempo e nello spazio secondo la legge di Wolff , mantengono la struttura ossea a livelli di competenza in riguardo alla funzione di sostegno ed inoltre con diversi meccanismi che conducono ad un unico processo biochimico e genetico sono senz’altro gli stimoli alla riparazione e rigenerazione ossea mentre il silenzio meccanico spegne quest’attività. L'utilità di quest'argomento nella pratica clinica non
lascia dubbi anche se dubbi non mancano in questo settore denso di studi
che suggeriscono una certa cautela nella prescrizione di stimoli meccanici
incontrollati in caso di fratture ed ancor più nelle pseudoartrosi
e nelle protesi.
A seguito del modello di Perren numerosi investigatori in questi
ultimi anni hanno cercato di determinare parametri ideali di grandezza,
frequenza, durata e direzione degli spostamenti o sollecitazioni che possono
migliorare la qualità della consolidazione.
Esiste uno stimolo fisico ideale nelle varie caratteristiche citate?
Se esiste questo stimolo è valido nelle diverse fasi della guarigione?
Oppure va rapportato alle condizioni di ampiezza e rigidità del
sistema in ogni fase? Sappiamo che l'osso è sensibile ad uno stimolo
entro una determinata gamma di frequenza. Brevi episodi giornalieri di
sollecitazioni sono sufficienti a stimolare e mantenere il rimodellamento.
Aspenberg nel 1987 ha studiato alcune variabili con le camere di micromovimento e riteneva necessaria un'assoluta stabilità nella fase iniziale dell'osteointegrazione. La presenza di vasi nelle camere con micromovimenti escludeva
che questa inibizione fosse dovuta solo alle sollecitazioni da rottura
e poneva in questione la proliferazione e la differenziazione. Forze di
particolare intensità possono inibire la proliferazione pre-osteoblastica
o influenzerebbero la scelta della proliferazione delle cellule pluripotenti
in favore del tessuto fibroso (una forma di pseudoartrosi?) Wallace recentemente
(1993) sostiene che gli effetti prodotti dalle variazioni degli stimoli
meccanici nelle fratture sono in relazione alla risposta vascolare e che
l'obliterazione della circolazione periostale ha un effetto profondo sulla
guarigione anche in presenza di micromovimento.
Superfici attive per condizioni trofiche migliori rendono più tollerabili le forze e diminuiscono lo stress e i danni da questo provocati. Sappiamo che il callo osseo periostale secondo McKibbin prelude ad una più rapida restaurazione dell'integrità (1978) e che ciò richiede una certa sollecitazione irritativa. Goodship e Kenwright (1985) sostengono che una osteotomia tibiale negli ovini guarisce più rapidamente se soggetta a movimenti assiali controllati applicati soprattutto nella prima fase. Gilbert si discosta da questi pareri e sostiene la necessità
di stabilità nella prima fase o perlomeno la scarsa importanza dei
movimenti in questa fase. Certamente se l'osso non è reattivo per
condizioni trofiche non buone, una maggiore stabilità sarà
necessaria per la revitalizzazione dovuta alla neoangiogenesi.
La teoria dei microdanni di Frost, Carter e Cowin ritiene verosimile
questo fenomeno fino ad un certo livello soglia di accumulo. Ciò
confermerebbe che la funzione cellulare è regolata in due o più
modi con processi biologici differenti che conducono ad un processo finale
comune regolato e codificato geneticamente.
I limiti di sicurezza delle sollecitazioni, specie quelle di taglio e angolari, sono difficili da stabilire o forse impossibili per la disomogeneità delle diastasi interframmentarie e la diversa disposizione della rima di frattura. Secondo il parere di Gardner, che ha eseguito delle prove con i fissatori studiando quantitativamente e qualitativamente gli stimoli e la direzione delle forze per ogni fase del callo osseo ed ogni tipo di diastasi e rigidità della neo-struttura, il controllo dei micromovimenti è molto difficile con un fissatore. Goodship sostiene che per ogni caso bisognerebbe calcolare la
percentuale di sollecitazioni in base alla diastasi, comunque conclude
che se non possiamo ancora accelerare la guarigione di una frattura siamo
in grado di ridurre il suo arresto. Quindi la funzione cellulare può
essere regolata in modi diversi, in differenti processi di modellamento,
riparazione e rimodellamento anche se la via finale specifica è
comune.
A livello macroscopico, forze stabilizzanti per la prevalenza
direzionale rispetto alle altre, comunque presenti, potrebbero agire sulla
differenziazione osteogenetica anche in presenza di inevitabili gap fibrosi.
In ogni fase della guarigione e dell'osteointegrazione i carichi funzionali devono essere concessi in base alla stabilizzazione che si oppone all'eccesso di micromovimenti. Il tipo di frattura interviene condizionando la stabilizzazione, e così pure il substrato osseo può limitare la qualità della risposta agli stimoli meccanici ed ai microdanni da essi provocati. (L'equilibrio delle forze e la loro distribuzione potrebbero essere determinanti nel rendere il segnale meccanico tale da essere avvertito in modo utile dalle cellule, una caratteristica acquisita geneticamente). Rubin e Lanyon sostengono che il primo obbiettivo del rimodellamento osseo è produrre una quantità e qualità di tessuto in cui i carichi funzionali possano causare stimoli appropriati sia per distribuzione che per grandezza. Nel campo delle fratture il chiodo bloccato con il suo compromesso tra stabilità e rispetto della biologia ha superato l'ostacolo e ha determinato una svolta nell'osteosintesi. Ha dimostrato però ulteriormente che una maggiore sicurezza nel decorso evolutivo verso la guarigione è stata possibile permettendo l'azione di forze dinamiche, ma controllate, ed ha dimostrato che tra le variabili dinamiche esistono forze che, se prevalenti, possono agevolare la formazione di osso. Altre forze che creano maggiori microdanni, con pericolo di accumulo, possono stimolare in altri modi, su un valido substrato, l'attivazione e l'accelerazione del processo osteogenetico; un procedimento che comporta qualche rischio di non consolidazione. La tollerabilità ai movimenti è prevalentemente condizionata dallo stato trofico dell'osso, che dipende dal danno vascolare. Questo concetto suggerisce un'estrema prudenza nella concessione di movimenti in eccesso, nei casi in cui si presume questo danno. Nel settore riguardante la protesizzazione senza cemento, che
non si discosta molto dal processo riparativo delle fratture anche se l'attività
osteogenetica è limitata ad un solo versante, quindi in un certo
senso ridotta, vi è la necessità di una stabilità
per evitare un eccesso di micromovimenti che provocano la formazione di
tessuto fibroso nell'interfaccia.
Tutti gli sforzi che sono stati fatti per combattere questi micromovimenti attraverso modifiche del disegno hanno rivelato notevoli difficoltà e talora hanno creato più problemi di quanti ne abbiano risolti e hanno fatto perdere la fiducia in questa tecnica con ritorno alla tradizionale cementazione. D'altra parte la cementazione non è indicata in pazienti giovani o attivi. Un aiuto in questo senso potrebbe essere dato dalle coperture che promuovono l'osteointegrazione (come l'HPA o i fattori di accrescimento). Inoltre, poichè secondo le ricerche di Rubin e McLeod sollecitazioni di bassa ampiezza al di sotto dei 500 *e con una frequenza di 15-30 Hz sono decisamente osteogenetiche, ma lontane da quelle sollecitazioni che mettono in pericolo la struttura dell'osso, potrebbero essere un'alternativa per la promozione dell'osteointegrazione. Una nuova tecnologia in fase di sperimentazione per ottenere l'accelerazione dei processi riparativi è la SAFHS (Sonic Accelerated Fracture Healing System). Per una più rapida comprensione dei problemi senza attendere il "lungo termine", la migliorata qualita' della ricerca scientifica e della tecnologia computerizzata e l'applicazione di questi metodi nei test preclinici condotti con estremo rigore possono portare maggiore speranza ed ottimismo, diminuendo le obiezioni etiche dovute ad errori più importanti che gravano sui pazienti. I test non assicurano il successo dell'innovazione e la maggior sicurezza si ottiene con studi a lungo termine coordinati in esperimenti multicentrici. Una più ampia conoscenza della distribuzione delle sollecitazioni e del rimodellamento è necessaria per una nuova generazione di protesi compatibili con l'esigenza di una lunga durata. Nuove coperture in grado di creare un ambiente osteogenetico con incremento di deposizione ossea nelle zone che desideriamo, potrebbero favorire l'osteointegrazione che, limitata alla zona prossimale, eviterebbe il by-pass da prevalente fissazione distale. Riepilogando, è generalmente riconosciuto che gli stimoli biofisici intervengono nella regolazione del rimodellamento e la riparazione dei tessuti di sostegno. Ma, come in tutti i processi in cui l'interazione tra numerosi fattori assume caratteristiche molto complesse, non tutte queste correlazioni sono conosciute. Come per l'osteogenesi, così per l'osteointegrazione vi
sarebbe un progressivo aumento del modulo di Young e una graduale sostituzione
di tessuto con maggior competenza, una sorta di Darwiniana selezione per
svolgere la funzione richiesta.
Studiando la permeabilità tissutale e la velocità
del flusso nella matrice e correlando questi dati alla maggiore o minore
presenza di forze di taglio o di deformazione rispetto alle forze di pressione
idrostatica, hanno prospettato che un rapporto tra questi stimoli possa
condizionare il passaggio dal tessuto di granulazione e dal tessuto fibroso
al fibro-cartilagineo fino all'ossificazione intralacunare e alla proliferazione
osteoblastica resa possibile dall'induzione ambientale tipo Speeman.
Non bisogna ovviamente dimenticare l'importanza dei risvolti biologici
ben contrassegnati dai lavori di Frost, Parfitt e Jaworski e della risposta
tissutale a questi stimoli meccanici ed ai microdanni con possibilità
di un bilancio negativo.
Siamo ancora nel campo delle ipotesi ma lo sviluppo successivo di questi studi potrà senz'altro aiutarci e guidarci nei nostri metodi di osteosintesi e protesizzazione senza cemento.
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