Il naufragio del "Tasmania"
Un ricordo familiare
a cura del cap. d. m. Emilio Giuliano Bacigalupo |
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Opinioni raccolte e suggerite quale spunto di riflessione
Energy and Civilization
Abel Tasman, navigatore olandese, nel 1642 ebbe il comando di
una spedizione nel corso della quale scoprì l'isola, in titolo,
che dal suo cognome derivò il nome. Due anni più tardi esplorò
la Nuova Zelanda, altra e più grande isola attorno al quinto
continente, l'Australia. Dalla costa meridionale di
quest'ultima, vicino alla città di Melbourne, la Tasmania è
separata dallo stretto di Bass (200 km); capitale Hobart l'isola
si estende per 67800 kmq tra il 40° e 44° parallelo sud, ha
coste frastagliate ed un altopiano mediamente superiore ai 1000
metri; clima piuttosto fresco risentendo della pur distante
Antartide.
Quanto sopra è per riprendere un avvenimento originato
dall'omonimo nome di una nave, immatricolata con il numero 1127
alla Capitaneria di Porto di Genova, adibita al trasporto di
carbone e minerale di ferro tra il nord Europa e il nord
Africa.
Avevo già scritto di ciò nel passato, ma il pensiero
contemporaneo riporta a due naufragi ben più gravemente
spettacolari: il "Titanic" nel centenario della tragedia in cui
il comportamento umano aggravò la concomitante sfortuna, il
recente "Concordia" in cui l'errore dell'uomo è stato
totalizzante.
Il Tasmania era un piroscafo azionato da macchina alternativa a vapor
acqueo prodotto da caldaia a fiamma di combustibile e navigava
nel mezzo di uno dei più burrascosi mari del mondo: al largo di
Ouessant tra il Canale della Manica e il Golfo di Guascogna.
Con onde di potenza "forza 9" il carico nelle stive finì
accidentalmente di spostarsi di lato, così infiltrandosi acqua
nel boccaporti. Sino alla irreversibilità dell'assetto
galleggiante quando - nota tecnica - il baricentro dello scafo
passò sopra al metacentro, centro di spinta raddrizzante della
carena. Iniziò l'affondamento e una scialuppa venne calata in
mare con 13 componenti l'equipaggio: tra cui Armando Sessarego,
classe 1893, fuochista della sala macchine. L'imbarcazione si
perse tra i flutti, tragicamente: erano le ore otto circa del 5
gennaio 1924. Quando l'inclinazione della nave fu massima venne
calata un'altra scialuppa con 14 marittimi - 2 vollero rimanere
a bordo - che riuscirono a salvarsi poco prima della calata a
picco: avvenuta alle coordinate 44° 40' latitudine nord e 8°
50' longitudine ovest.
I superstiti, tra cui Mario Bacigalupo, classe l900, presero in
tempo delle provviste di acqua e cibo che li aiutarono a resistere:
ma in balia delle tremende intemperie erano prossimi a morire
quando il 9 gennaio vennero avvistati da una nave olandese,
che li salvò portandoli a Rotterdam.
Alla dipartita di mio padre gli dedicai un articolo (anni '7O del secolo scorso)
rievocando quanto avevo appreso da ragazzo: era rinato quel
giorno - ricorrenza di San Giuliano - e pur essendo "molto laico"
dichiarò di voler chiamare con questo nome un eventuale futuro
figlio. Dieci anni dopo nascevo ma i genitori, per vari motivi
impossibilitati a recarsi all'anagrafe, diedero l'incarico a
mio nonno il quale, in un sussulto tradizionalista, mi registrò
con il suo nome.
In famiglia e per i conoscenti sono Giuliano, ufficialmente Emilio.
A parte questa digressione privata l'articolo, ospitato nella
parte conviviale di una rivista tecnica (Il Progettista) si
titola "A sangue freddo". Prendevo cioè lo spunto dalle
caratteristiche umane di possedere abbastanza autocontrollo per
decidere - fortuna comunque - soluzioni razionali, anziché
istintive, ancorché rapide al cospetto improvviso di situazioni
variamente pericolose, a terra e soprattutto in mare.
Allora discettavo sulla scelta ottimale di tanti giovani
nell'intraprendere un lavoro consono alle proprie
caratterialità. Ad esempio chi tende ad essere alquanto emotivo
è meglio non operi all'aperto, tipo cantieri e comunque gestori
di macchinari. Per contro chi pensa di essere alquanto
decisionista è meglio eviti uffici vari, peggio burocratici.
In questo vecchio articolo ovviamente dettagliavo questa
sommaria predisposizione occupazionale, ideale o utopica,
classificando alcune combinazioni operative di miglior
efficienza per le proprie tendenze psicofisiche· Ricordavo
emblematicamente come una multinazionale della refrigerazione
mi assunse nel 1964 avendo superato il test - senza poi
spiegarmi il retropensiero - delle macchie di Rorshach, noto
psicanalista svizzero.
Raccontavo infine l'attitudine, probabilmente "ereditata" e
sicuramente "navigata" - comunque "fortunata" - in alcuni frangenti
della vita, sia lavorativa che vacanziera. Almeno tre casi,
descritti tramite le pagine di www.seeandlisten.it con i titoli "Palazzo di Giustizia", "Cavalli
scossi", "Ritorno in parete".
Certamente oggi la preoccupazione dei giovani non é tanto la
sottigliezza orientativa della mansione occupazionale quanto la
sua certezza non precaria: è più una questione di "sangue
caldo" che "freddo"!
N.B.:
Alcuni dettagli sul naufragio sono tratti da una pubblicazione di Luca Sessarego, Centro Studi/Storie di Jeri di Bogliasco (Genova) che, a sua volta, cita un mio riferimento
sull'accaduto, riportato in "Azione e Reazione" febbraio 1997.
www.seeandlisten.it/opinioni/egb89.html
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6 settembre 2012
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