Opinioni raccolte e suggerite quale spunto di riflessione
Accordo dopo un chiarimento, un compromesso inevitabile, un vantaggio reciproco; un fatto positivo. Scontro dopo una divergenza, un contrasto evidente, una contrapposizione di interessi; un fatto negativo. L'umanità ha conosciuto e subito entrambi le situazioni; a fasi alterne, opera di pochi su tanti, ma anche singoli tra loro. La natura segue regole proprie e complesse, spesso apparentemente crudeli nella fauna, misteriose nella flora, persecutorie sotto suolo (vulcani, terremoti) e sopra (tempeste, alluvioni). Il nostro globo ha visto nei secoli un patto, certo involontario ma significativo, tra le varie forme vitali - dalla caccia alla pastorizia, dalla pesca all'agricoltura - sino all'impatto iniziale, altrettanto non voluto ma problematico, dell'industrializzazione e della tecnologia; in nome del progresso e per conto del benessere dell'uomo. Come tutti, i patti sono preceduti e seguiti dagli impatti: una storia recentemente troppo rapida ha turbato il rapporto tra l'umanità e l'ambiente nonché le relazioni tra paesi a forte differenza socioeconomica. Questo ovvio preambolo introduce all'interessante scoperta, seppure qualche anno dopo una dotta traduzione dalla lingua inglese, di un libro di lucida analisi planetaria: "L'impronta ecologica [1]"; gli autori sono ricercatori e docenti presso l'Università della British Columbia (Canada occidentale) che si avvalgono di una ricca bibliografia di studiosi internazionali. La teoria proposta è culturalmente raffinata, semplificarla sinteticamente è l'azzardo di questa opinione. Si parla da tempo della sostenibilità territoriale utile all'incremento antropico, inteso come persone e loro fabbisogni; il concetto in argomento è quello di quantificare in superfici disponibili il carico umano, individuale e totale, sommatoria qualificata di tutte le attività, delle energie non rinnovabili, dei rifiuti ed inquinamenti (solidi, idrici, gassosi) conseguenti allo stile di vita.
Lo sviluppo è identificato solitamente con la ricchezza, monetaria e dei servizi, ma il genere umano deve comunque vivere mantenendosi entro i mezzi forniti dalla natura che ha già confini definiti.
L'impronta ecologica è l'integrale, con una matematica "ad hoc", di come ogni essere vive con il proprio avere: alimenti, abiti, energie, trasporti, servizi; quant'altro richiederebbe all'ecosfera un riequilibrio autorigenerativo. Una parziale compensazione in natura avviene grazie a zone e popoli con minore densità abitativa e/o consumistica, non essendovi "barriere doganali atmosferiche". Di conseguenza alcuni paesi possono permettersi, almeno in parte, un "debito" ecologico - il prodotto degli occupanti per il loro tenore medio di vita, quando eccede le proprie disponibilità territoriali - verso altri: i quali poi cresceranno, vanificando il menzionato "credito" e si inizierà a sfiorare il collasso della vivibilità globale, subendo la natura una saturazione irreversibile.
L'impronta ecologica tiene conto di tutte le attività antropiche valutate in fabbisogno di superficie terracquea vitale: la metodologia di calcolo è elaborata nei dettagli del libro, dal quale citiamo (pagina 119) una curiosità conclusiva. "L'eventuale costruzione del ponte, in sostituzione dell'attuale servizio di traghetto per l'isola di Prince Edward (Canada orientale), porterebbe ad una appropriazione addizionale di circa 160 chilometri quadrati di terreno ecologicamente produttivo".
Chissà che analogia depauperatrice verrà addebitata al futuribile ponte sullo stretto di Messina - di cui all'ottimistica cartolina acquistata nel 1972 - progettato dall'ing. Mario Palmieri con un prudenziale (per la stabilità, non per la navigazione) pilone centrale, complessivamente alto 350 metri, dal costo totale di 200 miliardi di lire.
[1] "L'impronta ecologica" ovvero come ridurre l'impatto dell'uomo sulla terra; testo di Mathis Wackermagel e William Rees, illustrazioni di Phil Testemale; Edizioni Ambiente, volume raccomandato dal WWF.
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