La storia e gli oggetti

E' grande il fascino di un vecchio oggetto trovato casualmente… Lo si tocca, si cerca di capirne il significato e l'uso, se ne studiano le caratteristiche morfologiche, si scopre che ha un certo nome ormai quasi dimenticato, e si tenta, un po' con l'immaginazione, un po' raccogliendo notizie e testimonianze, di capire come erano le persone che lo usavano: ci assomigliavano, avevano i nostri stessi desideri e dubbi e paure? E che significato aveva per loro questo oggetto che oggi, a distanza di ottanta, cento anni, teniamo nelle nostre mani di uomini che si affacciano alla soglia del duemila? L'etnologia è una materia affascinante, e il fascino scatta nel momento in cui si viene a contatto con l'oggetto o con il documento. Si sente impellente il bisogno di saperne di più; per cui tutte le notizie che possono essere collegate all'oggetto sono preziose; e si può spaziare in tutti i campi della ricerca, da quelli storici a quelli scientifici, dai ricordi, alle tradizioni e agli usi, dai dati oggettivi a quelli comparativi e così via.

Il compito principale dell'etnologia è quello di recuperare la storia del passato, storia in senso ampio perché essa può raccogliere la storia di un territorio, o la storia di un individuo nel suo specifico territorio, o la storia di un oggetto legata alla persona d'appartenenza e al suo ambiente.

Attorno al tema "Leggere, scrivere, giocare un tempo" abbiamo cercato di raccontare la vita infantile attraverso gli oggetti che erano vicini al bambino e che avevano una loro storia particolare. Ne è un esempio la "Storia della bambola bruna", o la "Storia dei quadri ricordo", due storie che illustrano ambienti diversi e problemi complessi, legati alle vicissitudini del nostro paese.

La storia della bambola bruna è legata al tempo della prima guerra mondiale, e riguarda una bambina della borghesia benestante, che poteva giocare con una bambola di prezzo abbastanza elevato, ma che aveva anche una precisa coscienza degli eventi bellici, la guerra contro l'impero austro-ungarico. La storia ci viene raccontata dalla stessa protagonista.

LA BAMBOLA BRUNA

Era il 1915, avevo nove anni e mi ricordo che un giorno venne in visita da noi uno zio: era molto grande e aveva la barba. Mi portò in regalo una bambola, che io ho odiato fin dal primo momento. Come potevo giocare alle bambole e avere una bambina coi capelli biondi? Io sono bruna, e a quel tempo il biondo era sinonimo di tedesco, cioè di nemico. Per diverso tempo lasciai la bambola nella zona più nascosta dell'armadio, ma la mamma se ne accorse, e mi chiese delle spiegazioni; un po' a malincuore le raccontai il motivo della mia antipatia. Mia madre per risolvere il problema e dare soddisfazione allo zio, ebbe un'idea: portò l'oggetto del mio odio da una bambolaia, e le fece cambiare i capelli biondi con una parrucca di capelli neri. Io ne fui felice: il giorno stesso la battezzai con il nome di Italia, e da allora fu sempre la mia bambola prediletta. Avevo proprio un bel caratterino!

Questa è la storia che la signora Luisa Bellini Sorrentino raccontò al Museo prima di consegnarci la bambola. Essa è stata restaurata, ma la parrucca nera, anche se di materiale scadente e non omogeneo alla bambola, non venne sostituita, perché parte integrante e principale della sua storia.

I QUADRI RICORDO

Completamente diversa è la storia di due quadretti ricordo donati al Museo molti anni fa, datati ambedue 1889, e che sono stati eseguiti a ricordo di due bambini, Rosa e Arturo morti rispettivamente a 2 e a 6 anni.

Qui siamo in un ambiente povero, dove non solo i bambini non possono disporre di bei giocattoli, ma dove la malattia, una tipica malattia di gente povera, diventa in qualche modo protagonista. I parenti dei due bambini, che evidentemente non avevano a disposizione un ritratto, per conservare un ricordo dei loro piccoli hanno usato delle figurine colorate e dei bordi dorati, aggiungendo dei fiocchetti di capelli e dei dentini. Proprio dallo studio di questi denti, che sono molto affusolati, e con l'aiuto di un esperto, abbiamo scoperto che i bambini erano morti di pellagra, una malattia che in quegli anni mieteva vittime nella popolazione povera che si nutriva quasi esclusivamente di farina di granoturco.

LA MESSA DEI BAMBINI

Un'altra storia, e questa nuovamente ambientata in una famiglia della borghesia benestante, ci testimonia di un gioco che aveva una specifica impostazione pedagogica, poiché era pensato per riunire insieme più bambini, anche di sesso diverso. Si tratta di un altarino, che è stato donato al Museo dalla sorella del proprietario, la quale ci ha raccontato che era molto divertente "giocare alla messa". I bambini - due fratelli e tre sorelle - venivano portati in chiesa dove prestavano molta attenzione alle funzioni, che poi ripetevano in casa. Le sorelle fungevano da pubblico, mentre il fratello maggiore faceva il prete e il minore il chierichetto.

Il gioco era completo anche dei paramenti per il prete e delle tovaglie per l'altare, ma purtroppo queste parti di stoffa si sono sciupate e sono andate perse. Era un gioco che, come si è detto, non aveva la funzione di sviluppare nel bambino la religiosità - così ci è stato ripetutamente spiegato dalla donatrice - ma soltanto di intrattenere fra loro i fratelli e le sorelle.

In qualche altro caso, il giocattolo conservato ci apre uno spiraglio su un interno famigliare di tanti anni fa, e ci fa rivivere con commozione dei momenti tragici di cui è stato testimone. E' il caso del cavallo meccanico. "E' un giocattolo appartenuto a mio fratello maggiore, che morì a sei anni nel 1930 investito da un cavallo che tirava un carro, mentre andava in bicicletta con mio padre in via Lecco". Così ci ha raccontato il donatore che abita dietro il Duomo di Monza, aggiungendo che "dopo la disgrazia questo giocattolo fu messo via dalla mamma, e io ci giocavo solo raramente". Da qui la sua perfetta conservazione nonostante la delicatezza degli ingranaggi che fanno camminare il cavallo.

Ci sono poi le storie legate alla vita scolastica del bambino, che non sono ancora scritte completamente, ma alcune delle quali hanno già molti elementi, come la storia molto ampia del Collegio Bianconi o del Collegio Comolli, che i ricercatori del Museo stanno completando nell'ambito di uno studio sulle scuole pubbliche e private della Brianza. Ma è già possibile disporre di alcuni documenti molto interessanti, tra cui biglietti di merito, diplomi e pagelle.

E a proposito di pagelle, il Museo ne possiede una della scuola serale per adulti del Prof. Cesare Aguilhon, anno 1872, dove un ragazzo di 14 anni, con tutta evidenza un ripetente, Alfredo Confalonieri abitante in contrada Casalta è stato sospeso dalla scuola con questa motivazione: "pisciò nel berretto del compagno."

Sono storie divertenti o tristi, commoventi o allegre, vicende della gente comune; ma sono soprattutto "storia", quella storia di cose concrete, di fatti, di persone, che - soprattutto per i giovani - è il modo più diretto e sicuro e affascinante per conoscere il proprio passato e capire un poco meglio il presente.


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Sorelline Canesi, 1900 ca.
Museo Etnologico Monza e Brianza.

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