UNO OGNI OTTO SECONDI OMS
di Fabio
Claudio Fasulo
I due attraversarono tutto il locale in direzione dell'uscita. Giunti sulla soglia si fermarono.
I loro corpi deformi proiettavano lunghe ombre sinistre che invadevano il marciapiede.
No, i loro corpi normali di giovani ventenni si accostarono quasi per un comando antico. Il più alto tirò fuori un pacchetto
sgualcito di siga porgendolo all'altro. L'altro si servì con calma, tenendo gli occhi bassi con consumata indifferenza. Poi
aspettò.
Il più alto si servì anch'esso, poi improvvisamente imbracciò il grosso lanciafiamme che aveva a tracolla ed esplose
una lunga lingua di fuoco a bruciapelo, devastando il bancone e carbonizzando la barista all'istante.
No, estrasse un accendino trasparente che fece cilecca tre o quattro volte. Senza scomporsi, con calma, capovolse l'accendino e
verificò il contenuto. I suoi gesti erano simili a quelli di una scrupolosa infermiera che controlla il livello aereo in una siringa.
poi scosse l'accendino e riprovò. Cilecca.
Riprovò e il calore della fiamma ripagò i suoi sforzi.
L'altro si avvicinò e accese. Poi tenendo gli occhi bassi sulla punta della siga disse piano: lo sai che ogni otto secondi muore uno
nel mondo per colpa delle siga? e lo disse piano come se nessuno dovesse sentirli. Ma il suo tono celava un che di provocatorio, voleva
sapere cosa avrebbe allora risposto il più alto. Certo, non si aspettava mica che il più alto buttasse via le siga lì
per lì, ma in cuor suo, e forse non osava nemmeno ammetterlo a se stesso, in cuor suo sperava che il più alto avesse almeno
che so, un'esitazione, un commento pavido, un sospiro, anche solo un sospiro.
Il più alto lo guardò, immerso in una nuvola blu che si era autosoffiato addosso, poi disse: chissenefrega.
Dici?
Dico.
Così aveva stabilito il più alto. E stabilì anche che era il momento di andare, semplicemente cominciando a camminare
lungo il marciapiede invaso da automobili mal parcheggiate e da rifiuti. E, già che ci siamo, anche i cani, i migliori amici
dell'uomo, quella sera avevano contribuito perchè il marciapiede fosse davvero incalpestabile.
La notte li aspettava.
Così anche l'altro uscì dal locale con a rimorchio due ragazze, una per lui l'altra per il più alto, o viceversa,
avrebbero deciso poi.
Secondo te, incalzò l'altro che l'aveva raggiunto e che si sforzava di tenere il passo per non restare troppo indietro, secondo te
cosa c'è davvero nelle siga? tabacco, paglia, cosa?
Il più alto continuò a camminare e il suo passo esibiva che la risposta fosse sicura, almeno così parve
all'altro. Le due tipe seguivano in silenzio. Poi il più alto disse: bucce di patata! e soffiò un'altra gran nuvola blu.
Fumiamo bucce di patata! disse ridendo, tirando un calcio a una lattina già schiacciata. E quella lattina schizzò in alto nel
cielo, sino a colpire idealmente l'aereo sul quale stavo volando.
Quando hai ventanni è come quando sei in aereo.
Guardavo dall'alto dall'altissimo una curva di una strada del Canada, una curva dove qualche Mary tra le lacrime aveva gridato alla figlia: e
adesso che anche tuo padre l'ha pagata cara, smetterai? E io dall'alto passavo tra le nuvole guardavo capivo, ma io ero là tra le
nuvole più in alto al di sopra e quindi cosa poteva fregarmi di quelle due di sotto? Quando sei sopra è difficile occuparsi di
quelli di sotto, e poi sei tra le nuvole, un santo, un santo che vola.
E vidi anche il lago e il punto esatto sotto il castello dove avevo baciato Isabelle per la prima volta, e ora rivedevo quel bacio dalle
nuvole e ringraziavo gli abitanti delle nuvole per quella gioia, per questa gioia che dura ancora da quel bacio e che si rinnova ogni
giorno. e mi pareva di vederli sorridere, gli abitanti delle nuvole, e che mi ringraziassero e mi fossero grati per quel pezzo di destino
apparentemente inutile che avevamo saputo trasformare in gioia, in amore tra tanti pezzi di destino che vanno perduti. Perchè loro,
gli abitanti delle nuvole, quando noi li perdiamo questi pezzi di destino, soffrono per una forma di arcana nostalgia che li segue ancora
tra le nuvole e gli ricorda la bellezza della vita.
E così è come quando hai vent'anni, e invece di vedere il mondo dal basso della tua inesperienza 10 vedi dall'alto
della tua inconsapevolezza e non ti frega delle curve delle strade del Canadà e anche di un sacco di altre cose. Sei come un santo, un
santo che vola con un documento nuovo in tasca e un futuro troppo grande che ti ottenebra il cervello ed è lontano, lontano come
la curva della strada del Canadà; non ti frega.
Continuarono a camminare, ma non era più lo stesso.
Il più alto vacillava con le gambe in cerca della sua auto che non si trovava, mimetizzata nella giungla di auto tutte uguali.
L'altro seguiva, ma non lo seguiva più come prima, lo seguiva e basta. Anche le due tipe seguivano, una seguiva l'altra e insieme
seguivano l'altro che seguiva il più alto. Il più alto non seguiva, era un pezzo che non seguiva. non sapeva cosa seguire,
cosa perseguire. E ora con la storia delle bucce di patata non si sentiva più come prima, e si sentiva anche meno... comunque meno
agli occhi dell'altro.
Ma come cazzo era nata questa storia delle bucce di patata, pensava.
Gli sembrò che nulla fosse più come prima. Era pallido, pensieroso. E l'auto non si trovava. E poi quando era pensieroso voleva
dire che qualcosa stava per andare storto, fu un attimo.
A una delle due tipe si ruppe un tacco, accidenti! che dici torniamo? ma sì, dai, sono stanca, e poi come faccio, mi bruciano pure gli
occhi.
Le due tipe erano dunque sul dietroftont.
Ma no, dai, chissenefrega! intervenne risoluto il più alto, e nel dire chissenefrega sfilò di tasca il pacco sgualcito delle siga e lo porse alle due tipe.
Ma il polso ... il polso questa volta aveva avuto un'incertezza, lieve, lievissima, ma le due tipe l'avevano colta, e anche l'altro l'aveva
colta.
Passarono otto secondi. Lunghi. Lunghissimi. Orribili. Otto secondi d'ansia, d'angoscia, di morte, di cose mai dette, di cose mai pensate.
Poi di cose dette e pensate, di vuoti e di incerti pieni, di noia e di rabbia, e poi ancora da capo, d'ansia, d'angoscia, di morte ... e
così via. Colpa del polso, pensò il più alto, deglutì un minimo indispensabile di saliva, gli corse un brivido
di sconfitta. L'altro se ne accorse e si vergognò un po' per lui, e pensò che i suoi vecchi non erano poi così tutti
scemi. Poi azzerò il pensiero e attese gli eventi.
Le due tipe si fissarono nelle pupille come se si guardassero nello specchio, e rimasero così sin quando non si convinsero che
era proprio il loro, il volto dell'amica che vedevano.
Tutto questo in otto secondi. Lunghi. Lunghissimi. Orribili.
Chissenefrega! esplose in una smorfia di riso la tipa con il tacco rotto.
Okay veniamo, disse l'amica, e insieme allungarono le dita verso il pacco sgualcito delle siga che nonostante tutto aveva retto, lì,
immobile e teso, agli insoQportabili secondi d'ansia, d'angoscia e di tutte quelle palle.
E andata, pensò il più alto pur con un vago senso di scampata sconfitta.
È meglio che i miei vecchi sbraitino in casa, pensò l'altro, perchè fuori ci sono delle cose che solo il mio amico
sa sistemare. E si esaltò, pur con un vago senso d'amaro per quella storia delle bucce di patata, augurandosi di dimenticare quella
risposta, e sorrise perchè se n'era già quasi dimenticato.
Simpatici! pensarono le due tipe scontrando le due nuvole azzurrine di fumo che abbandonavano le loro bocche per essere rirespirate da
chissà chi. Forse nessuno.
Non erano forse anche loro, le due tipe, due nuyole azzurrine di fumo che aspettavano di essere rirespirate da chissà chi? forse
nessuno. Forse quei due simpatici che facevano casino e non trovavano l'auto per concludere quel sabato notte tra le braccia di chissà
chi.
La morte, divertita, sorrise. strappò in anticipo un foglio di calendario e per quella notte decise di non portar via più
nessuno, tanto meno uno ogni otto secondi. tanto meno i quattro ragazzi per i quali c'era tempo, tanto tempo. e nemmeno volle prendere con
sé quegli accaniti e tossicolosi personaggi che tanto la divertivano con le loro sciocche e puerili giustificazioni sulle siga.
Aveva concesso una notte di quiete, fu l'unica volta.
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Questo racconto è stato anche
pubblicato da «La Serpe» Rivista trimestrale
dell'Associazione Medici Scrittori Italiani –
n. 1 gennaio marzo 2001 |
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