Meo è un simpatico vecchietto e, per questo, ha
molti amici.
L'amico a lui più caro è Tobia, il suo
cagnone.
Tobia sta sempre con lui: è un meticcio e vanta
qualche parentela con un cane da caccia...Non è più molto
giovane,
ma neppure vecchio.
Meo parla con lui e gli racconta tante cose della sua
vita.
Tobia forse non capirà tutto,
ma scodinzola felice accanto al suo padrone.
Tra gli amici di Meo c'è anche il dottor Bucci,
Carlo per gli amici.
E' un medico veterinario e Meo l'ha conosciuto
quando era stato nel suo studio per le vaccinazioni
al suo Tobia.
Carlo, oltre ad essere un bravo medico è anche
molto amico degli animali ed esercita la sua professione con vero amore.
Meo e Carlo escono sovente insieme per lunghe camminate
all'aperto.
Portano Tobia in un prato accanto alla loro casa
e, lasciatolo libero, lo fanno correre e sfogare.
Quando Carlo ha un po' di tempo si reca a casa di Meo
e fanno interminabili partite a scacchi.
Meo vorrebbe sempre vincere e, se perde,
s'inquieta e afferma che non giocherà più!
Proprio come fanno i bambini... ma poi vuole la rivincita.
Tobia partecipa al gioco e, forse, vorrebbe aiutare il
suo amico!
Altre volte Meo si reca nello studio di Carlo e passa
il tempo
a discorrere con tutti i padroni di animali.
Si informa delle loro malattie, delle loro abitudini
e vanta sempre le
qualità del suo Tobia.
Contrariamente agli altri cani, che nello studio del
veterinario si dimostrano impauriti,
Tobia rimane tranquillo, perché conosce bene Carlo
e guarda con una specie di compatimento quei poveretti
pieni di paura.
Nel prato, dove Tobia corre felice,
a volte arrivano altri cani e giocano tra loro.
Se i cani sono di piccola taglia tutto si svolge serenamente,
ma se arriva Gec, un grosso pastore tedesco,
Tobia si sfoga ad abbaiargli per la paura, incapace di
affrontarlo
o di avvicinarlo.
Quando poi vede passare i pony, che, condotti dai loro
padroni
sono cavalcati dai bambini della zona,
si spaventa, forse scambiandoli per grossi cani.
Un giorno, durante una delle solite
passeggiate,
tobia vede in lontananza una barboncina.
lui ha una vera simpatia per i
cani di questa razza,
inoltre è una femmina!
nonostante i richiami di meo, tobia
fugge
per rincorrerla.
sordo alla voce del padrone non
ritorna indietro
e meo non riesce a rincorrerlo.
disperato teme di aver perduto
il suo più caro amico.
fortuna volle che carlo arrivasse
nel parco e
si avvicinasse all'amico disperato.
saputo quanto era accaduto rassicurò
meo
ed essendo più giovane,
cercò di correre alla ricerca di quel furfantello di tobia.
lo richiamò con un fischio
come era solito fare
e ben presto tobia corse da lui
con la coda bassa
consapevole di averla fatta grossa.
Per questa volta
tutto finì bene!
Meo però,
quando andava da solo a zonzo con Tobia,
da quel giorno non
si fidò più a lasciarlo libero
e lo tenne a guinzaglio.
Tra gli amici di
Meo c'era anche
Astro: un vecchietto
originale,
soprannominato così
perché passava tutte le notti
ad osservare il
cielo, le stelle, i pianeti con il suo cannocchiale.
Astro era veramente appassionato di astronomia.
Diceva che le stelle gli parlavano.
Bastava ascoltarle in silenzio e raccontavano storie
favolose.
Parlavano di avvenimenti accaduti migliaia e
migliaia di anni fa.
Di incontri straordinari con abitanti di altre galassie.
Gli amici lo canzonavano:
" Ma allora tu credi agli UFO?"
E lui di rimando:
"Canzonatemi fin che volete, ma vi accorgerete
un giorno,
quando incontrerete personalmente anche voi qualche
essere extraterrestre".
Meo cominciava a credergli e una notte sognò
proprio
di incontrare un marziano.
L'astronave arrivò roteando e poi piano piano
si adagiò sul prato, proprio quello dove portava
Tobia a correre.
Al finestrino s'intravedeva un omino strano:
Meo non riusciva a distinguerlo bene fin che era dentro
la navicella.
Ad un tratto però il marziano uscì:
Era quasi tutto verde, con una specie di scatola rossa
sulla schiena,
aveva la testa ovale sporgente in avanti con un solo
occhio
grande sulla fronte.
Stranamente parlava un linguaggio che era comprensibile
anche per gli umani.
Voleva che Meo (sempre nel sogno, si sa) lo seguisse
dentro
l'astronave.
Meo si rifiutava perché sopraffatto dalla paura,
ma a nulla valse il suo rifiuto.
Ad un tratto si trovò nell'abitacolo e rimase
come intontito.
Si domandava che cosa gli stesse succedendo,
quando la navicella cominciò ad alzarsi, come
se fosse
stata un elicottero e volò roteando verso cieli
sconosciuti.
Sorvolò astri luminosi, stelle splendenti,
comete, ma improvvisamente Tobia abbaiò
e la sua voce risvegliò Meo dal sonno lasciandolo
incredulo.
Si domandava se avesse veramente sognato o se invece
non fosse stato
in una realtà ignota.
Quando incontrò Astro gli raccontò il
sogno e l'amico
gli assicurò che non era stato un sogno, ma
che aveva vissuto
un avvenimento straordinario, reale.
Meo non riusciva a dimenticare quel sogno
e desiderava ripeterlo ancora per capirci meglio.
La cosa sembrava impossibile, ma forse perché
il suo pensiero era diventato sempre più ostinato,
una notte rivide il suo marziano.
Questa volta fu lui ad iniziare il discorso:
"Sai che mi hai incuriosito!
raccontami un po' di te, del tuo mondo, di come
vivete"
"Noi esistiamo da migliaia di secoli,
assai prima che si formasse la terra.
Da noi non ci sono guerre, non c'è la morte,
né le malattie.
Viviamo in armonia fraternamente e cerchiamo di
conoscere
gli altri mondi per diffondere la pace, la serenità"
Meo era sbalordito e pensava che Mars (così
chiamò il suo
nuovo amico) vivesse in un vero paradiso.
Fu tentato di andare con lui per vivere nel suo mondo.
Era solo trattenuto dal pensiero di dover lasciare
le sue cose,
il suo Tobia.
Mars, che leggeva nel pensiero, lo rassicurò:
"Non preoccuparti: Tobia può venire con
te e anche lui sarà felice"
Meo stava quasi per accettare l'invito,
ma era un po' preoccupato: che cosa avrebbero detto
gli amici non più vedendolo.
Forse avrebbero pensato che fosse morto o che fosse
stato rapito.
Così Meo cercò di prendere tempo e disse
che ci avrebbe pensato e domandò a Mars come avrebbe potuto
contattarlo.
La risposta non si fece attendere: Mars disse che
bastava il pensiero e
allora lui sarebbe ritornato.
Al mattino seguente Meo ripensò allo strano
sogno
e decise però di rimandare quell'invito a tempi
futuri.
La bella stagione passò velocemente
e Meo non poté più uscire come prima
con il suo Tobia.
Le giornate fredde e piovose li costringevano a rimanere
in casa.
Un giorno, mentre Meo faceva la solita partita con
Carlo,
sentì un miagolio sommesso.
Veniva dall'esterno, pareva un lamento.
Subito uscì a vedere di che cosa si trattasse
e vide,
accucciato accanto alla porta, un micetto tutto infreddolito.
Si sfregava gli occhietti con la zampina: pareva piangesse.
Meo ebbe compassione di lui e se lo prese in braccio.
L'accarezzò e lo portò a vedere a Carlo.
Carlo lo visitò e decretò che godeva
di ottima salute,
ma che aveva bisogno di un buon pasto caldo.
Un po' di latte ristorò Puffi, così
venne chiamato il micio
e, con il pasto, trovò anche una casa accogliente,
un bel cuscino per cuccia.
Tobia osservava tutto, ma non si dimostrò geloso
né fece impaurire Puffi che non aveva ancora
esperienza di cani
per cui non temette nulla.
La famiglia così crebbe e Meo si ritrovò
con un nuovo amico.
Incredibile come Tobia si prese cura del micetto.
Lo faceva giocare con la sua pallina,
gli permetteva di andare nella sua cuccia.
Puffi faceva le fusa e saltava allegro qua e là,
anche sui mobili
o aggrappato alle tende.
Meo, per evitare disastri, portò a casa un
tronchetto
su cui Puffi poteva affilarsi le unghie.
Le poltrone furono salve!
Meo, Tobia e Puffi vissero insieme felici per molti
anni.